Sono parzialmente nulle le fideiussioni omnibus successive al 2005 e quelle specifiche, se dimostrata la coordinazione tra un significativo numero di banche finalizzata a sottoporre alla clientela modelli uniformi di fideiussione. Trib. Reggio Emilia 04.10.2023 n. 1156 dott.ssa Malgoni

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 41994/21 hanno affermato che “I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.

Il provvedimento n. 55/05 della Banca d’Italia riguarda in modo espresso le sole fideiussioni omnibus e, tra queste, solamente quelle sottoscritte entro il 2005 o comunque in epoca di poco posteriore, ove riconducibili ad una intesa anticoncorrenziale.

Nel caso di specie, invece, oggetto di causa sono una fideiussione omnibus del 2008 e una fideiussione specifica del 2009, il che non consente di presumere sic et simpliciter la nullità delle clausole conformi allo schema ABI sulla base del suddetto provvedimento, ma impone di verificare in concreto la persistenza, nel mercato nazionale, di una intesa illecita lesiva della concorrenza.

L’opponente, gravato del relativo onere, a supporto dell’eccezione di nullità delle clausole per contrasto con la normativa antitrust, non si è limitato ad allegare il provvedimento n. 55/05 della Banca d’Italia, ma ha prodotto in giudizio una notevole quantità di moduli standard utilizzati per le fideiussioni da diverse banche presenti su ampia parte del territorio nazionale, in epoca (anche) coeva a quella della stipulazione delle garanzie per cui è causa.

Tale documentazione deve ritenersi idonea a dimostrare che nel 2008/2009 un numero significativo di istituti di credito, all’interno del medesimo mercato, avesse coordinato la propria azione al fine di sottoporre alla clientela dei modelli uniformi di fideiussione in modo da privare quella stessa clientela del diritto a una scelta effettiva e non solo apparente tra prodotti alternativi e in reciproca concorrenza.

Tanto basta per ritenere che le clausole contenute sia nella fideiussione omnibus 28.08.2008 sia nella fideiussione specifica 10.02.2009 prestata dal garante, riproducenti in modo pedissequo quelle dello schema ABI, trovino fondamento non nell’autonomia negoziale delle parti bensì in una intesa anticoncorrenziale e siano, pertanto, nulle.

La disciplina speciale di cui agli artt. 104-bis disp. att. c.p.p. e 55 d.lgs. n. 159/2011 non consente la divisione endoesecutiva. Trib. Reggio Emilia ord. 27.02.2021 dott.ssa Sommariva

La specialità della disciplina posta dagli artt. 104-bis disp. att. c.p.p. e 55 d.lgs. n. 159 del 2011 non permette l’applicazione delle norme codicistiche che regola l’espropriazione dei beni indivisi, in particolare la disciplina relativa alla divisione.

Il testo dell’ordinanza 27.02.2021 del Tribunale di Reggio Emilia è scaricabile qui.

La revocatoria ordinaria non salva dall’inesistenza l’ipoteca iscritta successivamente al trasferimento del bene. Trib. Parma 12.05.1995 n. 406 dott. Rogato

E’ inesistente l’ipoteca iscritta successivamente alla trascrizione dell’atto e antecedentemente all’esercizio dell’azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ., risultando la stessa gravante un immobile non appartenente al debitore contro il quale l’iscrizione ha avuto luogo. Infatti, l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria non comporta il ritorno del bene nel patrimonio del debitore: l’atto di disposizione revocato conserva il suo effetto traslativo o costitutivo in capo all’acquirente, risolvendosi la relativa pronuncia in una mera declaratoria di inefficacia dell’atto stesso, che consente al creditore istante di sottoporre ad esecuzione il bene che ne costituisce l’oggetto.

Questi i principi sanciti dalla sentenza in oggetto, di cui qui è possibile scaricare il testo integrale

Foro competente e fideiussore consumatore. Trib. Bologna sent. 21.12.2017 n. 21163 dott. Costanzo

Ennesima pronuncia di merito, in tema di applicabilità del foro inderogabile del consumatore al rapporto con il garante estraneo all’attività dell’impresa garantita, di cui qui è possibile scaricare il testo integrale. Si segnalano i precedenti:

In assenza di elementi di fatto idonei a dimostrare che vi siano collegamenti funzionali tra garanzia prestata e debito ed ove il garante non abbia sottoscritto l’atto di coobbligazione nella  veste di professionista, risultando quindi estraneo all’attività imprenditoriale esercitata dal debitore principale, lo stesso è da qualificarsi consumatore, con applicazione della normativa di cui al c.d. Codice del Consumo, anche in punto di competenza territoriale. (da ilcaso.it).

Foro competente e fideiussore consumatore. Trib. Sondrio sent. 20.12.2017 n. 555 dott.ssa Paganini

Ulteriore pronuncia di merito, in tema di applicabilità del foro inderogabile del consumatore al rapporto tra garante ed istituto di credito, di cui qui è possibile scaricare il testo integrale. Si segnala il precedente Trib. Reggio Emilia sent. 23.02.2016 n. 178 dott.ssa Di Paolo.

La normativa di cui al c.d. Codice del Consumo trova applicazione, nel caso in cui una persona fisica abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, con cui non abbia collegamenti funzionali (e.g., l’amministrazione o una partecipazione rilevante nel capitale sociale). (da ilcaso.it).

Nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità. Cass. Civ., Sez. I, 13.07.2017 n. 17352

È nullo il contratto di mutuo, che non rispetta il limite di finanziabilità, ai sensi dell’art. 38 comma 2 T.U.B.; detto limite, infatti, rappresenta un elemento essenziale ai fini della qualificazione del finanziamento ipotecario come fondiario: il superamento dello stesso conduce alla nullità dell’intero contratto fondiario, salva la possibilità di conversione di questo in un ordinario finanziamento ipotecario (quando ne sussistano i presupposti). Così si è espressa la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17352 del 13.07.2017 (di cui è possibile scaricare la copia integrale delle motivazioni al link sotto riportato).

In argomento, si segnala ancheun articolo del 19.11.2012 (a cura del dott. Busani), tratto da Il Sole 24 Ore, sul decreto del Tribunale di Venezia, la cui impugnazione per Cassazione ha originato la pronuncia pubblicata, che è liberamente consultabile al seguente link: http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2012-11-19/mutuo-eccessivo-nullo-064320.shtml.

Di seguito il testo delle motivazioni di Cass. Civ., Sez. I, 13.07.2017 n. 17352.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio                Presidente
Dott. FERRO Massimo                 Consigliere
Dott. DI MARZIO Fabrizio           Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco           Consigliere – Rel.
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo   Consigliere

Ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19598/2012 proposto da:

Mediocredito Trentino Alto Adige S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via L. Bissolati n.76, presso l’avvocato Spinelli Giordano Tommaso, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Galletti Danilo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento Lorenzon Techmed System S.r.l., in persona del curatore dott. Capone Danilo, elettivamente domiciliato in Roma, Via Pompeo Magno n.3, presso l’avvocato Gianni Saverio, rappresentato e difeso dall’avvocato Solinas Gianni, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 26/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/05/2017 dal cons. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per la rimessione degli atti alle Sezioni Unite;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Enrica Fasola, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato Gianni Solinas che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Venezia, con decreto in data 26-7-2012, rigettava l’opposizione allo stato passivo del fallimento di Lorenzon Techmed System s.r.l., in liquidazione, che era stata proposta da Banca Mediocredito del Trentino Alto Adige s.p.a. per ottenere l’ammissione con collocazione ipotecaria del credito di Euro 2.180.714,00, oltre accessori, vantato in forza di un contratto di finanziamento ipotecario avente a oggetto l’erogazione della somma complessiva di oltre Euro 7.000.000,00 da parte di un pool di banche, costituito da MPS, Mediocredito del Friuli Venezia Giulia e Mediocredito del Trentino Alto Adige.

Il contratto era stato stipulato il 21-8-2006, con ipoteca di pari grado in favore dei mutuanti su un compendio immobiliare della fallita.

Il tribunale riteneva che la banca avesse violato la disciplina del mutuo fondiario stante l’avvenuto superamento del limite di finanziabilità di cui al combinato disposto dell’art. 38, comma 2, del T.u.b. e della delibera del Cicr 22-4-1995 (l’80% del valore dell’immobile dato in garanzia), con conseguente nullità del contratto nella sua interezza. Escludeva la possibilità di una conversione, integrale o parziale, ritenendo la relativa subordinata domanda inammissibile per novità, siccome proposta per la prima volta col ricorso in opposizione. Per la stessa ragione negava la possibilità di ammettere al chirografo il credito da restituzione d’indebito.

Mediocredito del Trentino Alto Adige ha proposto ricorso per cassazione affidato a dieci motivi.

La curatela ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del T.u.b. e dell’art. 1418 cod. civ., censura la decisione per avere ritenuto nullo il contratto di mutuo per contrarietà alla norma predetta, di natura imperativa. Sostiene difatti che la norma non è posta a tutela di interessi generali ma, integrata nella sede regolamentare, detta prescrizioni di comportamento rivolte agli istituti di credito per finalità prudenziali giacenti all’interno della disciplina della vigilanza, la cui eventuale violazione non incide sulla validità del contratto ma implica l’eventuale mera irrogazione di una sanzione amministrativa (art. 145 del T.u.b.).

Col secondo e col terzo motivo la ricorrente denunzia l’insufficiente o contraddittoria motivazione del provvedimento in ordine alla valutazione del compendio immobiliare ipotecato e all’omesso espletamento di opportuni accertamenti tecnici quanto al ritenuto superamento dei limiti di finanziabilità.

Col quarto, subordinato, motivo deduce inoltre la violazione e falsa applicazione dell’art.

38 del T.u.b., dell’art. 1418 cod. civ. e della citata delibera del Cicr in ragione dell’incertezza che sarebbe stata determinata dal margine di soggettività implicato nella stima del compendio, involgente uno scostamento minimo rispetto all’importo del finanziamento.

Col quinto mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2704 cod. civ. e art. 45 L. Fall., sul rilievo che il finanziamento concesso dal pool di banche in questione si collocava ampiamente al di sotto dei limiti vigenti, considerato il capitale residuo dei finanziamenti pregressi con iscrizioni ipotecarie sugli stessi immobili. Sostiene che il tribunale avrebbe fatto malgoverno delle citate norme affermando che la documentazione afferente era priva di data certa.

Col sesto mezzo, nella subordinata ottica di cui sopra, è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2721 e 2726 cod. civ., in quanto si sarebbe dovuto consentire in ogni caso a essa banca di avvalersi dei comuni mezzi di prova in ordine al fatto dell’estinzione dei debiti pregressi e residui.

Col settimo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 cod. civ., atteso che ove anche si desse seguito alla tesi del tribunale circa la nullità del contratto di mutuo fondiario, la detta nullità si porrebbe in rapporto alla sola parte del credito eccedente il limite di vigilanza, con conseguente possibilità di considerare comunque il contratto come valido per l’intero credito salva l’impossibilità della banca di avvalersi dei benefici fondiari per la detta parte; ovvero, alternativamente, come determinativa della caducazione della fonte giustificativa del prestito per la parte eccedente, da ricondursi nell’alveo della dazione di indebito.

Con l’ottavo motivo la ricorrente lamenta l’insufficiente o contraddittoria motivazione della decisione impugnata in ordine alla ritenuta essenzialità della stipula del contratto in forma fondiaria.

Col nono e col decimo motivo, infine, richiamando la pronuncia di questa Corte n. 9219-95, e deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 99 L. Fall., art. 1424 cod. civ. e art. 112 cod. proc. civ., si duole che sia stata ignorata dal giudice del merito l’esplicita richiesta (i) di conversione del contratto ove ritenuto affetto da nullità, ovvero in estremo subordine (ii) di ammissione del credito al rango chirografario per la restituzione del capitale comunque erogato.

2. Devono essere esaminati prioritariamente i motivi dal secondo al sesto, tra loro connessi e finalizzati a censurare l’affermazione del giudice a quo circa il superamento della soglia di vigilanza del mutuo fondiario.

In proposito il tribunale ha ritenuto superato il limite di finanziabilità dettato dall’art. 38, secondo comma, del T.u.b. e della annessa delibera del Cicr 22-4-1995, esplicitamente esaminando, e confutando, innanzi tutto la stima effettuata dal perito incaricato dalla banca.

Ha osservato che la stima era stata effettuata in violazione di quanto preteso dalla direttiva 2000/12-CE, in ordine alla necessità di tener conto non solo dei prezzi di mercato all’epoca della negoziazione ma anche “degli aspetti durevoli a lungo termine dell’immobile (..) dell’uso corrente (..) e dei suoi appropriati usi alternativi”. Ne ha quindi tratto il convincimento della maggiore attendibilità, e della correttezza, della stima effettuata dal perito della procedura, sulla base di criteri rispondenti all’ottica prudenziale della direttiva Europea.

In tal guisa, il tribunale ha ritenuto che la banca non aveva fornito la prova dell’estinzione dei debiti anteriori all’erogazione del mutuo, sicchè nella determinazione dell’importo massimo finanziabile dovevasi tener conto anche dell’ammontare dei finanziamenti preg ressi.

Sul punto le critiche svolte dalla ricorrente vanno disattese.

2.1. Il secondo e il terzo motivo, formulati ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, si risolvono in un tentativo di rivisitazione del giudizio di fatto, congrua e insindacabile essendo la motivazione del tribunale nella parte afferente il valore del compendio.

Più volte è stato affermato che spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere altresì tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dando così prevalenza all’uno o all’altro mezzo (v. ex aliis Cass. n. 20518-08; Cass. n. 22901-05; Cass. n. 15693-04). Né l’onere di adeguatezza della motivazione comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni delle parti, o che debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da queste svolte, essendo sufficiente che risultino esposti in maniera concisa ma intelligibile gli elementi in fatto (e in diritto) posti a fondamento della decisione (tra le tante v. Cass. n. 24542-09; Cass. n. 407-06).

E’ poi rimesso alla valutazione discrezionale del giudice del merito il giudizio sul se disporre, o meno, una c.t.u. laddove risulti che egli sia già in possesso di dati tecnici suscettibili di esser posti a base della decisione (v. Cass. n. 72-11; Cass. n. 20814-04, ma anche, sebbene implicitamente, Cass. n. 17399-15).

Per cui, quando il giudice disponga di elementi istruttori sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel potere, salvo che la soluzione scelta non risulti infine immotivata o non adeguatamente motivata.

Alla luce di tali consolidati principi, il secondo e il terzo motivo sono inammissibili, mentre il quarto è generico, oltre che in sé scarsamente efficace, a proposito della asserita minimalità (1,86 %) dello scostamento del limite di vigilanza.

2.2. Il quinto motivo è infondato.

Si sostiene che l’estinzione dei debiti pregressi era stata provata con la produzione di distinte di versamento, di copie di assegni circolari e di un atto di quietanza e assenso alla cancellazione d’ipoteca da parte del creditore Antoveneta s.p.a., e che erroneamente il tribunale avrebbe opposto la mancanza di data certa dei documenti in questione quando questi avevano la limitata finalità di provare i fatti posti a base della prospettazione, non i negozi giuridici.

Può osservarsi che l’assunto implicato dal terzo motivo – tratto dal limitato operare dell’art. 2704 cod. civ. al caso in cui dalla scrittura si vogliano, in relazione alla sua data, conseguire gli effetti negoziali propri della convenzione contenuta nell’atto, e non anche al caso in cui la scrittura sia invocata come semplice fatto storico (v. Cass. n. 3998-03; Cass. n. 24955-06 e altre) – non pertiene al caso di specie.

Nel giudizio in cui sia parte il curatore del fallimento, il debitore non può opporre la quietanza, rilasciata dal creditore all’atto del pagamento, ove la stessa non abbia data certa anteriore; non può farlo neppure invocandola quale confessione stragiudiziale del pagamento stesso, atteso che essa è valida solo nel giudizio in cui siano parti l’autore e il destinatario di quella dichiarazione, mentre il curatore, pur ponendosi, nell’esercizio di un diritto del fallito, nella stessa posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo (v. in generale Cass. n. n. 13513-02, e nello stesso senso Cass. n. 14481-05; e v. pure rispetto all’azione revocatoria fallimentare, Cass. n. 1759-08).

Lo stesso principio vale per gli ulteriori documenti tesi a sostenere, nei riguardi del fallimento, la circostanza di un pagamento anteriore.

Il fatto poi che l’atto di quietanza e di assenso alla cancellazione in favore di Antonveneta fosse munito di forma notarile è del tutto assertorio: esso invero non emerge dalla sentenza e al riguardo il ricorso non soddisfa il fine di autosufficienza.

Va puntualizzato inoltre che la prova del fatto estintivo non può essere correlata al mero riferimento a titoli di credito, per loro natura astratti, salvo che si possa dimostrare che il rilascio degli stessi, con funzione solutoria, sia ricollegabile al contratto da cui sorgono le obbligazioni. Tale collegamento può essere oggetto di prova logica, sulla base di elementi documentali in tal senso concludenti, ma la relativa valutazione suppone accertamenti di fatto istituzionalmente rimessi al giudice del merito; e, in rapporto a una eventuale omessa valutazione di fatti storici ritenuti all’uopo rilevanti, la decisione avrebbe potuto essere impugnata solo deducendo vizi della motivazione.

2.3. Il sesto motivo è inammissibile per difetto di concludenza.

L’avvenuta estinzione dei finanziamenti pregressi viene addotta in rapporto a una doglianza di mancata ammissione di un capitolo di prova testimoniale.

La riproduzione del capitolo di prova rende tuttavia palese che si trattava di deduzione genericamente evocativa dell’avvenuta “estinzione” del debito residuo prima dell’erogazione del finanziamento.

Costituisce espressione di un principio pacifico che il ricorrente, ove in sede di legittimità denunci la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (v. Cass. Sez. U n. 28336-11).

Ora il tribunale ha disatteso la prova perchè essa si poneva in contrasto, “in relazione all’ingentissimo ammontare del credito vantato dalla banca e all’opposizione della procedura all’espletamento di tale prova”, con gli artt. 2721 e 2726 cod. civ..

La ricorrente afferma che le norme dianzi citate attengono solo alla prova dei contratti e non anche alla prova dei fatti giuridici, ma non tiene conto che la ratio decidendi del giudice del merito ha fatto leva sulla natura di pagamento dell’atto estintivo di un debito contrattualmente assunto. Ed è inconferente citare in contrario Cass. n. 16538-09, giacchè il principio in essa affermato attiene alla fattispecie – del tutto diversa – degli atti di accreditamento e di prelevamento in conto corrente, non qualificabili quali autonomi negozi giuridici o, appunto, quali pagamenti, vale a dire come atti estintivi di obbligazioni, ma quali atti di utilizzazione di un unico contratto (di conto corrente) a esecuzione ripetuta.

Il che però a niente serve quando, invece, la mancata ammissione della prova testimoniale sia stata implicitamente riferita al pagamento quale atto estintivo intraneo al rapporto giuridico, all’esito di eccezione di parte opportunamente menzionata.

Il motivo di ricorso per la sua genericità non consente del resto di ritenere, in prospettiva di autosufficienza, che l’estinzione, a fronte del finanziamento pregresso, sia stata dedotta come fatto materiale estraneo alla esecuzione dello specifico rapporto giuridico.

E’ dunque intangibile l’accertamento del giudice del merito in ordine all’avvenuto superamento, nel caso di specie, del limite di finanziabilità (o di vigilanza) del mutuo fondiario.

3. Ciò stante, possono essere a loro volta unitariamente esaminati il primo, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, a proposito della conseguente sorte del suddetto mutuo in rapporto all’insinuazione della banca al passivo del fallimento.

I motivi sono infondati, giacchè il collegio ritiene di dover rimeditare il principio affermato dalla sezione in ordine al non essere il superamento del limite di finanziabilità determinativo della nullità del contratto di mutuo fondiario (v. Cass. n. 26672-13 e Cass. n. 27380-13, e poi anche Cass. n. 22446-15, Cass. n. 4471-16 e Cass. n. 13164-16).

3.1. A tal riguardo è utile innanzi tutto rammentare in qual modo la giurisprudenza si sia evoluta nel senso appena detto.

Ed è bene prender le mosse dalla considerazione che un contrapposto orientamento giurisprudenziale si era a suo tempo formato a proposito delle operazioni di credito edilizio.

Per i mutui di credito edilizio, destinati cioè alla “costruzione, ricostruzione, riparazione, trasformazione e sopraelevazione di edifici ad uso prevalente di abitazione non di lusso”, la L. n. 474 del 1949, art. 3 analogamente prevedeva che l’ammontare di ciascun mutuo non potesse eccedere la metà del valore cauzionale dell’immobile.

Tale norma era ritenuta avente natura imperativa, in quanto, in forza di essa e delle altre disposizioni di settore, da un lato, l’ammontare del mutuo si diceva collegato con lo scopo di agevolare la disponibilità di abitazioni non di lusso, sicchè ogni diversità rispetto alle previsioni di legge avrebbe costituito una violazione del detto scopo di carattere pubblico, e, dall’altro, essendo l’ipoteca, collegata al mutuo medesimo, posta a garanzia di un certo ammontare del credito – e non oltre – rispetto al valore del bene ipotecato, il superamento del limite avrebbe attribuito al creditore – ancora si diceva – una causa di prelazione non solo illegittima, ma anche nulla, perché contraria al principio della par condicio sancito dall’art. 2741 cod. civ. (v. Cass. n. 9219-95).

Secondo il citato indirizzo, la stipulazione di un mutuo in violazione dell’indicata norma dava quindi luogo a nullità del relativo contratto, eventualmente anche solo parziale, perchè il contratto era ritenuto scindibile nelle sue obbligazioni e riducibile a un contenuto minore ove fosse risultato che le parti lo avrebbero in ogni caso posto in essere con tale contenuto.

Per quanto in obiter dictum, la sentenza sopra citata aveva inoltre paventato l’estensione del principio anche in relazione al sopravvenuto art. 38 del T.u.b., per il caso della violazione dell’ammontare massimo dei finanziamenti in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, richiamando, a presidio della nullità del contratto, anche l’art. 117, comma 8.

Difatti quella giurisprudenza aveva ritenuto che le conseguenze legali dipendenti dalla violazione non potessero esaurirsi nelle sanzioni amministrative a carico degli amministratori dell’Istituto, vuoi in base alla vecchia legge bancaria del 1936 (art. 17), vuoi in base all’attuale T.u.b., dal momento che dette sanzioni non erano idonee ad assicurare la tutela degli interessi pubblici coinvolti.

3.2. L’orientamento direttamente affermatosi sull’art. 38 del T.u.b. ha fatto leva, invece, onde escludere la nullità del contratto di mutuo fondiario, sul non essere il limite di finanziabilità suscettibile di essere compreso all’interno delle ipotesi genericamente previste dall’art. 117, comma 8, del medesimo testo unico.

In caso di superamento del limite anzidetto ha poi escluso anche l’applicabilità dell’art. 1418 cod. civ., ritenendone ostativa la tradizionale impostazione secondo cui unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, non già la violazione di norme, anch’esse imperative, ma riguardanti il comportamento dei contraenti.

Da questo punto di vista, il fulcro del ragionamento è stato ancorato alla considerazione che la determinazione dell’importo massimo finanziabile sia prevista unicamente a tutela del sistema bancario, sicchè la soglia di finanziabilità investirebbe esclusivamente il comportamento della banca finanziatrice, tenuta a non esporsi oltre un limite di ragionevolezza, senza tuttavia incidere sul sinallagma.

Secondo il citato orientamento, ove non altrimenti stabilito dalla legge solo la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità. Mentre la disposizione dell’art. 38 del T.u.b. e i conseguenti provvedimenti delle autorità amministrative non sarebbero declinabili secondo il parametro di validità, sebbene secondo quello di condotta (o di comportamento): esse costituirebbero norme di “buona condotta” la cui violazione può, nel caso, comportare l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario.

Tale conclusione si è detto trovar conferma nel fatto che predicare la nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità significa travolgere la connessa garanzia ipotecaria, con il paradossale risultato di pregiudicare il valore della stabilità patrimoniale della banca che la relativa normativa intende invece proteggere. Invero nel credito fondiario il cliente ha tutto l’interesse a ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile, anche a prescindere dal limite di finanziabilità.

4. Osserva il collegio che la base argomentativa dell’indirizzo giurisprudenziale appena sintetizzato è condivisibile nella sola affermazione di non riconducibilità della fattispecie alla nullità testualmente stabilita dall’art. 117, comma 8, del T.u.b., perchè l’indicazione dell’importo massimo finanziabile non fa parte del contenuto del contratto di credito fondiario che può considerarsi tipico secondo il disposto di quella norma. La quale norma difatti non lo contempla neppure indirettamente, per il tramite del potere prescrittivo della Banca d’Italia.

E’ vero quindi che la questione posta dall’art. 38, comma 8, del T.u.b. non può risolversi all’interno della tesi della nullità testuale, a prescindere dalle divaricazioni di orientamento rinvenibili in dottrina a proposito della qualificazione – come tipizzante o connotativo – del potere della Banca d’Italia di prescrivere il contenuto di determinati contratti.

Ciò tuttavia non consente di condividere le conclusioni dell’orientamento inaugurato nel 2013 anche a proposito della concorrente esclusione della fattispecie generale di nullità ex art. 1418 cod. civ.

Questo perchè la prescrizione dei limiti di finanziabilità – per quanto non ascrivibile a un contenuto tipico predeterminato dall’autorità creditizia – si inserisce in ogni caso tra gli elementi essenziali perchè un contratto di mutuo possa dirsi “fondiario”.

5. La tesi fin qui sostenuta dall’indirizzo giurisprudenziale dominante fa leva, da questo secondo punto di vista, sul noto discrimine tra regole di validità e regole di comportamento. Osterebbe cioè all’applicabilità dell’art. 1418 cod. civ. la tradizionale impostazione secondo cui unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, ma riguardanti il comportamento dei contraenti.

Questa affermazione non convince sia nella premessa, sia nella conclusione.

6. Non convince innanzi tutto nella premessa, in quanto il fine della previsione dettata in materia di credito fondiario a proposito del limite massimo di concedibilità del finanziamento risponde a una necessità di analitica regolamentazione dettata da obiettivi economici generali (come opportunamente già messo in luce da Cass. n. 921995), attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale.

A una simile ratio è correlato il trattamento di favore accordato alla banca che eroghi un tal tipo di finanziamento, sul versante del consolidamento breve dell’ipoteca fondiaria (art. 39 del T.u.b.) e della peculiare disciplina del processo esecutivo individuale attivabile pur in costanza di fallimento (art. 41). Ed è significativo notare che proprio da ciò è stato motivato il rigetto della questione di costituzionalità della disciplina di favore predetta (artt. 38 e seg. del T.u.b. e art. 67 L. Fall.), avendone la Corte costituzionale affermato la ragionevolezza in virtù del riconoscimento al credito fondiario di un ” evidente intento di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare “, effetto di una precisa scelta di politica economica – in quanto tale insindacabile – tesa ad agevolare l’accesso a “finanziamenti potenzialmente idonei (anche) a consentire il superamento di condizioni di crisi dell’imprenditore”, e a sostenere da questo punto di vista la stessa attività di impresa (v. C. cost. n. 17404).

In secondo luogo, l’orientamento inaugurato dalla sezione nel 2013 non appare convincente neppure sul versante della dicotomia tra regole di validità e regole di comportamento, posto che non si dubita – nè da quell’orientamento è stato posto minimanente in discussione – che l’art. 38 del T.u.b. sia norma imperativa.

Il significato della dicotomia sembra difatti contraddetto sul terreno degli interessi sottesi e dell’adeguatezza per l’ipotesi di violazione della norma imperativa.

La distinzione tra regole di validità e regole di comportamento, di matrice dottrinale, trova compiuto sviluppo giurisprudenziale in quanto dalle Sezioni unite è stato affermato a proposito dell’intermediazione finanziaria (v. Cass. Sez. U n. 26724-07 e n. 26725-07).

In relazione alla nullità negoziale per contrarietà a norme imperative (in difetto di espressa previsione in tal senso: cosiddetta “nullità virtuale”), le Sezioni unite hanno confermato la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere, invece, fonte di responsabilità.

E’ un fatto, però, che nel solco appena indicato il discrimine si incentra sull’essere determinative di nullità, e non di mera responsabilità, le violazioni attinenti a elementi intrinseci del negozio, relativi alla sua struttura (il contenuto).

In questo specifico senso la nullità non può discendere da condotte illegittime tenute nella fase prenegoziale o esecutiva del contratto.

7. Ora la fissazione di un limite di finanziabilità, quanto alla disciplina dell’art. 38 del T.u.b. e delle norme regolamentari afferenti, non è confinabile nell’area del comportamento in fase prenegoziale: l’area cioè della contrattazione tra banca e cliente.

Nè è correlabile, ovviamente, alla fase attuativa.

Consegue che non è pertinente osservare che nel credito fondiario il cliente ha tutto l’interesse a ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile, anche a prescindere dal limite di finanzia bilità.

Il punto è che tutte le regole giuridiche sono regole di condotta, con la conseguenza che, se è indubbio che l’art. 38, comma 2, del T.u.b. incide su un contegno della banca, è altrettanto indubbio che la soglia stabilita per il finanziamento ha la funzione di regolare il quantum della prestazione creditizia, per modo da incidere direttamente sulla fattispecie.

8. Non serve allora obiettare che, essendo il limite di finanziabilità in funzione del rapporto tra il contratto di finanziamento e il contratto di concessione d’ipoteca, il suo rispetto non può essere percepito mediante un’analisi isolata del mutuo.

L’obiezione, che pure è desumibile dalle decisioni del 2013 sopra citate, si sostanzia nel rilievo che predicare la nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità significherebbe travolgere la connessa garanzia ipotecaria, con il paradossale risultato di pregiudicare il valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intende invece proteggere.

In verità la norma non è volta a tutelare la stabilità patrimoniale della singola banca, ma persegue interessi economici nazionali (pubblici).

E’ ovvio che la nullità ha come conseguenza l’incapacità del contratto di produrre il proprio effetto, compresa la costituzione di un’ipoteca valida. Ma ciò non può indurre a considerare la soglia di finanziabilità come un elemento estrinseco alla fattispecie, perchè la fattispecie negoziale, nel nesso tra mutuo e ipoteca, è giustappunto e comunque unitaria.

Poichè nella distinzione accolta dalle richiamate sentenze delle Sezioni unite la violazione di una norma imperativa determina l’invalidità ogni volta che incide sulla regola negoziale, vale a dire ogni volta che sia apprezzabile un contrasto tra la disposizione violata e il regolamento d’interessi sotteso al negozio, non sembra che l’interpretazione fin qui propugnata dalla sezione possa essere mantenuta ferma, per lo meno perchè da questo punto di vista intrinsecamente contraddittoria.

Col superamento del limite di finanziabilità, il precetto di cui all’art. 38, comma 2, del T.u.b. è disatteso non solo (e non tanto) sul versante del comportamento, quanto e soprattutto sul versante dell’oggetto del finanziamento fondiario eccessivo.

9. Le esposte considerazioni si palesano dirimenti al fine di ribaltare l’orientamento fin qui affermatosi.

Esse trovano ulteriore e logico conforto nella materia concorsuale.

Ove intervenga la crisi dell’impresa finanziata, l’interesse del cliente recede dinanzi all’interesse della massa creditoria, sicchè la vicenda si colloca tutta nei confini del rispetto della par condicio (già declinato d’altronde dall’art. 2741 cod. civ.).

L’interpretazione che in materia di credito fondiario esclude la nullità del relativo contratto, ove pur sia violato il limite massimo di concedibilità del finanziamento, finisce per mantenere intatta una causa di prelazione resa illegittima dalla violazione del precetto normativo.

Da questo angolo visuale è da condividere il rilievo dottrinale per cui il collegamento esistente tra il finanziamento e l’ipoteca suppone non potersi dissociare l’esegesi dell’art. 38, comma 2, del T.u.b. dalla sua funzione di limite sia del credito (fondiario), sia del connesso privilegio (fondiario), a meno di scadere – come efficacemente osservato – in un’inaccettabile protezione dell’illegalità.

Siffatto rilievo giustifica, nel contempo, ancora oggi, la sottolineatura rinvenibile in Cass. n. 9219-95 circa l’inadeguatezza dello strumento sanzionatorio amministrativo, giacchè sanzionare il superamento della soglia con l’irrogazione di mere sanzioni amministrative, facendo sempre salva la validità del contratto, significa consentire infine alla banca di disporre – essa – della fattispecie del credito fondiario, mantenendone i benefici correlati pur nel mancato rispetto dei limiti di legge, con conseguente pregiudizio delle pretese dei creditori concorrenti. Conclusione che sarebbe insostenibile non solo sul piano funzionale, ma anche da un punto di vista tecnico, in quanto distonica con quanto ancora una volta affermato dalle Sezioni unite nelle ripetute sentenze n. 26724-07 e n. 26725-07.

Ivi si è detto che non può escludersi la nullità del contratto se, dinanzi a infrazioni di norme imperative, non sia disponibile un rimedio che possa concretamente servire l’interesse sotteso alla disposizione violata.

Ebbene l’interesse in questione è pubblico.

E allora insistere sulle sanzioni amministrative irrogabili alla banca è cosa non proficua, perchè la limitazione dell’importo del mutuo e, conseguentemente, della garanzia ipotecaria, non riflettendo gli interessi particolari delle parti contraenti, costituisce un limite inderogabile alla loro autonomia privata.

10. Tanto comporta il rigetto dei sopra menzionati motivi primo, settimo e ottavo, dovendosi affermare il seguente principio: il mancato rispetto del limite di finanziabilità, ai sensi dell’art. 38, comma 2, del T.u.b. e della conseguente Delib. Cicr, determina di per sè la nullità del contratto di mutuo fondiario; e poichè il detto limite è essenziale ai fini della qualificazione del finanziamento ipotecario come, appunto, “fondiario”, secondo l’ottica del legislatore, lo sconfinamento di esso conduce automaticamente alla nullità dell’intero contratto fondiario, salva la possibilità di conversione di questo in un ordinario finanziamento ipotecario ove ne risultino accertati i presupposti.

Non può seguirsi la tesi della ricorrente a proposito della configurazione di una fattispecie di nullità parziale, riguardante cioè il mutuo fondiario e la corrispondente e dipendente iscrizione ipotecaria solo per la eccedenza rispetto ai limiti di legge.

A siffatta tesi della nullità parziale ostano non solo le difficoltà pratico-giuridiche di conciliare il frazionamento dell’unico contratto stipulato tra le parti col possibile consolidamento dell’ipoteca per la sola porzione fondiaria, ma anche e a monte la considerazione che l’art. 38 del T.u.b. individua oggettivamente i caratteri costitutivi dell’operazione di credito fondiario nel rispetto del limite evocato dal comma 2 della disposizione. Cosicchè è corretta l’inferenza che solo al riscontro dei caratteri indicati nella disposizione consente di associare la qualificazione come fondiaria dell’operazione negoziale: un finanziamento ipotecario non rispettoso dei limiti legali involti dalla disciplina normativa non soddisfa il requisito della “fondiarietà” stabilito dalla norma imperativa.

Ferma allora la nullità del contratto di mutuo fondiario, l’unica modalità di recupero del contratto nullo è quella della conversione in un contratto diverso (art. 1424 cod. civ.).

11. A questo riguardo dev’essere accolto, il nono motivo di ricorso, col quale la banca, ricordato di aver chiesto, subordinatamente, la conversione del contratto in un finanziamento avente integrale natura di mutuo ordinario (art. 1424 cod. civ.), lamenta che il tribunale abbia erroneamente ritenuto inammissibile tale istanza perchè in contrasto col principio di immutabilità della domanda.

In questo il tribunale ha errato perchè è vero che i poteri officiosi di rilevazione di una nullità negoziale non possono estendersi alla rilevazione di una possibile conversione del contratto, ostandovi il dettato dell’art. 1424 cod. civ. secondo il quale il contratto nullo può, non deve, produrre gli effetti di un contratto diverso. Difatti si determinerebbe, altrimenti, un’inammissibile rilevazione di una diversa efficacia, sia pur ridotta, della convenzione negoziale (Cass. Sez. U n. 26242-14). Non è men vero però che l’istanza di conversione è certamente ammissibile ove sia avanzata nel primo momento utile conseguente alla rilevazione della nullità.

Si tratta infatti di un’istanza consequenziale alla rilevata nullità dell’unico titolo negoziale posto al fondo della domanda originaria.

Diversamente allora da quanto affermato dal tribunale, una simile istanza ben poteva essere formulata per la prima volta col ricorso in opposizione allo stato passivo, una volta appurato che il credito non era stato ammesso a cagione della nullità del contratto di mutuo fondiario e dell’annessa ipoteca.

12. Resta assorbito il decimo mezzo.

Il decreto del tribunale di Venezia va cassato nei sensi appena detti.

Segue il rinvio al medesimo tribunale, diversa sezione, il quale, attenendosi ai sintetizzati principi di diritto, si pronuncerà sull’istanza di conversione (ovvero sulle questioni assorbite) provvedendo ai pertinenti accertamenti di fatto.

Il tribunale provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi otto motivi di ricorso, accoglie il nono e dichiara assorbito il decimo; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al tribunale di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017.

 

Improcedibile la opposizione a decreto ingiuntivo, se la parte non compare in mediazione personalmente. Trib. Reggio Emilia sent. 26.06.2017 n. 682 dott.ssa Boiardi.

Il Tribunale di Reggio Emilia si pronuncia sulla partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione, aderendo all’orientamento per il quale è richiesta la presenza delle stesse personalmente (ovvero mediante delega specifica); in particolare, vertendosi in tema di opposizione a decreto ingiuntivo in materia bancaria, il Giudice aveva inviato le parti in mediazione; tanto l’opponente quanto l’opposta, però, partecipavano al procedimento avanti l’Organismo di Mediazione soltanto tramite i propri difensori. Il Tribunale di Reggio Emilia, richiamando una serie di pronunzie conformi, ha sancito l’improcedibilità della opposizione, ma ha sanzionato anche il comportamento della banca, condannandola al versamento a favore dell’Erario di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio,  ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10.

Trib. Reggio Emilia, sent. 26.06.2017 n., 682, dott.ssa Boiardi.

* * *

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale Ordinario di Reggio nell’Emilia
SEZIONE SECONDA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Simona Boiardi ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. XXXX/2016 promossa da:

SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO & C (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. XXX elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. XXX

SOCIO 1 (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. XXX elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematicopresso il difensore avv. XXX

SOCIO 2 (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. XXX elettivamente domiciliato in VIA presso il difensore avv. XXX

ATTORI OPPONENTI

contro

BANCA SPA (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. YYY elettivamente domiciliato in VIA presso il difensore avv. YYY

CONVENUTA OPPOSTA

Oggetto: Contratti bancari

Conclusioni come in atti

BREVE SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo parte opponente conveniva in giudizio Banca spa chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo n.XXX/2014 Rg emesso dal Tribunale di Reggio Emilia in data 15-3-2016 con cui veniva ingiunto il pagamento, in favore della banca opposta, della somma capitale di euro 92.531,40 oltre agli interessi legali.

Si costituiva Banca spa chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto. All’esito della prima udienza, tenutasi il 17-11-2016, il Tribunale tenuto conto che la materia dei contratti bancari rientra tra quelle per le quali la legge prevede il tentativo obbligatorio di mediazione, ha assegnato alle parti termine di giorni 15 per l’attivazione della detta procedura.

Successivamente le parti hanno prodotto verbale di mediazione da cui emerge che, per parte opponente, era presente solo l’Avv. ZZZ in sostituzione dell’Avv. XXX mentre per parte convenuta compariva soltanto il difensore Avv. YYY. L’Avv. ZZZ ha, altresì, dichiarato che non vi erano margini per trovare una soluzione conciliativa con la banca mentre l’Avv. YYY prendeva atto della indisponibilità alla mediazione della controparte.

Alla successiva udienza, del 18 maggio 2017, il giudice poneva alle parti la questione se debba ritenersi assolta la condizione di procedibilità dell’opposizione attorea quando la stessa vi abbia partecipato solo con il proprio difensore, e concedeva termine per note difensive fissando per discussione orale ex art.281 sexies c.p.c. l’udienza del 26-6-2017.

COINCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

L’opposizione è improcedibile.

E’ documentalmente provato (e non contestato) che, a seguito dell’invio d’ufficio in mediazione disposto ai sensi dell’art.5 citato, e alla attivazione del relativo procedimento ad iniziativa di parte attorea gli opponenti Socio 1 e Socio 2 non hanno partecipato personalmente alla mediazione così come non era presente il legale rappresentante di Società in nome collettivo & C né era presente un delegato di questa. Era presente esclusivamente un sostituto del difensore. Questo giudice condivide quella giurisprudenza di merito (Trib. Napoli Nord 27-1-2017; Tribunale di Firenze del 2014, cfr., da ultimo, Trib. Siracusa ord. 17.1.2015; Trib. Bologna ord. 5.2.2015; Trib. Pavia ord. 9.3.2015; Trib. Vasto sent. 9.3.2015; Trib. Pavia ord. 18.5.2015) che ritiene che le disposizioni di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 28/2010 (come modificato dalla legge n. 98/2013), lette alla luce del contesto europeo nel quale si collocano (cfr. in particolare, direttiva comunitaria 2008/52/CE) impongono di ritenere che l’ordine del giudice è da ritenersi osservato soltanto in caso di presenza della parte (o di un di lei delegato), accompagnata dal difensore e non anche in caso di comparsa del solo difensore, anche quale delegato della parte.

La sentenza del Tribunale Ferrara 28-7-2016, di cui si condividono le argomentazioni, evidenzia plurimi elementi che confermano la correttezza di tale lettura interpretativa: “a) Innanzitutto, la natura della mediazione di per sé stessa richiede che all’incontro con il mediatore siano presenti (anche e soprattutto) le parti personalmente. L’istituto, infatti, mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto; questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. Nella mediazione è fondamentale, infatti, la percezione delle emozioni nei conflitti e lo sviluppo di rapporti empatici ed è, pertanto, indispensabile un contatto diretto tra il mediatore e le persone parti del conflitto. Il mediatore deve comprendere quali siano i bisogni, gli interessi, i sentimenti dei soggetti coinvolti e questi sono profili che le parti possono e debbono mostrare con immediatezza, senza il filtro dei difensori, cui significativamente la legge attribuisce, in questo ambito, una mera funzione di “assistenza” e non già anche di “rappresentanza”. D’altronde, il peculiare significato della mediazione è proprio il riconoscimento della capacità delle persone di diventare autrici del percorso di soluzione dei conflitti che le coinvolgono e la restituzione della parola alle parti per una nuova centratura della giustizia, rispetto ad una cultura che le considera ‘poco capaci’ di gestire i propri interessi e, seppure a fini protettivi, le pone, di fatto, ai margini. Una significativa conferma del ruolo centrale che deve assumere la parte in mediazione e dell’utilità concreta che ha la sua personale presenza in un procedimento che ha la sua specifica connotazione nella finalità deflattiva del contenzioso giudiziario, si desume, del resto, anche dal 6 Considerando della richiamata Direttiva Comunitaria 2008/52/CE, disposto nel quale, del tutto opportunamente, si ricorda che “Gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti”. Non è, dunque, pensabile applicare analogicamente alla mediazione le norme che, nel processo, consentono alla parte di farsi rappresentare dal difensore. È ben vero, infatti, che la mediazione può dar luogo ad un negozio o ad una transazione che hanno ad oggetto diritti disponibili, ma è anche vero che l’attività che porta all’accordo ha natura personalissima proprio per la connotazione peculiare che ha la procedura in esame, e, in quanto tale, non è delegabile, salvo i casi di obiettiva impossibilità della parte a partecipare.

b) In secondo luogo, i difensori (definiti mediatori di diritto dalla stessa legge) sono senza dubbio già a conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità (come, peraltro, si desume dal fatto che essi, prima della causa, devono fornire al cliente l’informazione prescritta dall’art. 4, comma 3 del D.Lgs. n. 28 del 2010), sicchè perderebbe senso concreto il disposto di cui all’art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 28 del 2010 e succ. mod., che impone al mediatore nel primo incontro l’onere di chiarire la funzione e la modalità di svolgimento della mediazione: ove, infatti, fosse consentita la presenza dei soli difensori, anche in rappresentanza delle parti assistite, l’informativa in oggetto si rivelerebbe del tutto inutile. E non è, invero, pensabile che il processo venga interrotto per una informazione già nota ai difensori anziché per un serio tentativo di coinvolgere le parti per la risoluzione del conflitto insorto tra loro.

Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, si ritiene, in conformità con tutta la giurisprudenza di merito che sino ad ora si è occupata della questione (non constano a questo giudice provvedimenti, interlocutori o definitivi, di segno contrario), che sia per la mediazione obbligatoria da svolgersi prima del giudizio ex art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010 sia per la mediazione demandata dal giudice, ex art. 5, comma 2, è necessario che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori, come previsto dall’art. 8) all’incontro con il mediatore”.

E’ pacifico che in tema di procedimento monitorio, se le parti non hanno esperito la mediazione disposta dal magistrato, il giudice deve dichiarare l’improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo; e tale improcedibilità travolge non la domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo, ma l’opposizione a essa; l’inattività delle parti, infatti, dà luogo all’estinzione del processo che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo produce gli stessi effetti dell’estinzione del giudizio di impugnazione, facendo acquisire in tal modo al decreto ingiuntivo opposto l’incontrovertibilità tipica del giudicato (cfr. Tribunale Firenze, sez. III, 30/10/2014); sul punto la Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cassazione Civile 3 dicembre 2015 n. 24629) ha stabilito che “la norma (art. 5 D.Lvo 28/2010) è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale. In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per così dire – a rendere il processo la extrema ratio: cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse. Quindi l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo. Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell’onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l’opposto nel giudizio di opposizione. Questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l’onere. Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta. Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. È l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. È dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perché è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo. È, dunque, l’opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c.. Soltanto quando l’opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente convenuto sostanziale, opposto – attore sostanziale. Ma nella fase precedente sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l’onere di introdurre il procedimento di mediazione; diversamente, l’opposizione sarà improcedibile”.

Ne consegue che parte opponente, onerata ex lege di attivare il procedimento di mediazione non ha assolto validamente al proprio onere di presenziare all’incontro fissato davanti al mediatore.

Va, quindi, sanzionato con l’improcedibilità il comportamento della parte onerata ex lege che non compaia avanti al mediatore personalmente o per il tramite di un delegato, diverso dal difensore. Per effetto di tale pronuncia di improcedibilità, resta assorbita ogni questione di merito.

Sotto diverso profilo si rileva che anche Banca spa è comparsa solo a mezzo del proprio legale e, pertanto, ricorrono i presupposti per adottare, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10, una pronuncia di condanna della stessa (che si è ritualmente costituita in giudizio) al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Atteso il rilievo d’ufficio e la mancata partecipazione personale o per il tramite di un delegato (diverso dal difensore) di entrambe le parti al giudizio di mediazione si compensano interamente le spese di lite.

PQM

Il Tribunale Civile di Reggio Emilia in composizione monocratica nella persona del giudice dott.ssa Simona Boiardi

definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. XXXX/2016 ogni altra e diversa istanza ed eccezione disattesa e/o assorbita, così provvede:

1) DICHIARA improcedibile l’opposizione e per l’effetto conferma il decreto ingiuntivo opposto n. XXX/2016 dichiarandone l’esecutività;

2) BANCA SPA al versamento, in favore dell’Erario, della somma pari all’importo del contributo unificato dovuto per il presente giudizio;

3) Compensa interamente tra le parti le spese di lite.

Reggio Emilia, 26-6-2017

Il Giudice

(dott.ssa Simona Boiardi)

Legge n. 81/2017 – Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato (modifiche anche al codice di procedura civile in vigore dal 14.06.2017)

Esteso anche ai lavoratori autonomi il diritto ad agire in via monitoria sulla base degli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie (modifica all’art 634 cod. proc. civ.).

* * *

Legge 22 maggio 2017, n. 181 (in G.U. n. 135 del 13.06.2017)

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga

la seguente legge:

[omissis]

Art. 15
Modifiche al codice di procedura civile

1. Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 409, numero 3), dopo le parole: «anche se non a carattere subordinato» sono aggiunte le seguenti: «. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa»;

b) all’articolo 634, secondo comma, dopo le parole: «che esercitano un’attività commerciale» sono inserite le seguenti: «e da lavoratori autonomi».

[omissis]