Le anticipazioni del creditore procedente ed i compensi legali sono prededotti dal ricavato della vendita da rimettere alla liquidazione ex art. 14-ter l. n. 3/2012. Trib. Reggio Emilia ord. 10.03.2021 dott.ssa Sommariva

Nel caso di specie, il creditore procedente, a seguito del provvedimento del G.E. di sospensione della procedura esecutiva in ragione della disposta non prosecuzione delle azioni esecutive da parte del Giudice della liquidazione del patrimonio del debitore esecutato, intervenuto successivamente all’aggiudicazione ed al pagamento del saldo prezzo dell’immobile staggito, aveva richiesto che – così come le somme corrisposte al custode ed al delegato alla vendita – anche le somme anticipate dallo stesso ed i compensi maturati per l’espropriazione promossa fossero (liquidati e) distribuiti in seno all’esecuzione e che, pertanto, soltanto il residuo fosse riversato a favore del procedimento di liquidazione del patrimonio.

In senso analogo, si segnalano Trib. Modena, ord. 01.6.2017 e Trib. Vicenza, ord. 24.03.2020.

La disciplina speciale di cui agli artt. 104-bis disp. att. c.p.p. e 55 d.lgs. n. 159/2011 non consente la divisione endoesecutiva. Trib. Reggio Emilia ord. 27.02.2021 dott.ssa Sommariva

La specialità della disciplina posta dagli artt. 104-bis disp. att. c.p.p. e 55 d.lgs. n. 159 del 2011 non permette l’applicazione delle norme codicistiche che regola l’espropriazione dei beni indivisi, in particolare la disciplina relativa alla divisione.

Il testo dell’ordinanza 27.02.2021 del Tribunale di Reggio Emilia è scaricabile qui.

D.L. #CuraItalia. Sospese le risposte di accesso alla banca dati dell’Anagrafe Tributaria (art. 492-bis c.p.c.)

Il D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”) prevede, tra le altre cose, all’art. 67 comma 3, la sospensione sino al 31 maggio 2020 delle risposte alle istanze, ex art. 492-bis cod. proc. civ. nonché ex artt. 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. (ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare), di accesso alla banca dati dell’Anagrafe Tributaria, compreso l’Archivio dei rapporti finanziari. La norma pare lasciare aperta la possibilità che alle istanze sia attribuito il carattere di indifferibilità ed urgenza, ai sensi dell’art. 83 comma 3 lett. a) («3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non operano nei seguenti casi: [omissis] in genere, tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal capo dell’ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto no impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile; [omissis]»). Sono altresì sospese le risposte alle domanda di accesso ai documenti amministrativi (art. 22, l. n. 241/1990; il testo del D.L. n. 18/2020 contiene un’omissione, frutto di un evidente errore materiale, con riferimento all’anno della norma) e di “accesso civico a dati e documenti” (art. 5, d.lgs. n. 33/2013); per queste ultime due ipotesi, il “carattere di indifferibilità ed urgenza”, che escluderebbe le risposte dal periodo di sospensione, dovrà (forse) da valutarsi e dichiararsi all’interno del medesimo procedimento di accesso agli atti.

* * *

DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18
Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Visto il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13;
Visto il decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9;
Visto il decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11;
Visto il decreto-legge 9 marzo 2020, n. 14;
Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica COVID-19 sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale, prevedendo misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale, della protezione civile e della sicurezza, nonché di sostegno al mondo del lavoro pubblico e privato ed a favore delle famiglie e delle imprese;
Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di adottare altresì disposizioni in materia di giustizia, di trasporti, per i settori agricolo e sportivo, dello spettacolo e della cultura, della scuola e dell’università;
Ritenuta altresì la straordinaria necessità e urgenza di prevedere la sospensione degli obblighi di versamento per tributi e contributi, di altri adempimenti e incentivi fiscali;
Considerate le deliberazioni adottate dalle Camere in data 11 marzo 2020, con le quali il Governo è stato autorizzato, nel dare attuazione a quanto indicato nella Relazione al Parlamento presentata ai sensi dell’articolo 6, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, allo scostamento e all’aggiornamento del piano di rientro verso l’obiettivo di medio termine per fronteggiare le esigenze sanitarie e socio-economiche derivanti dall’emergenza epidemiologica COVID-19;
Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 16 marzo 2020;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze;

EMANA

il seguente decreto-legge:

[omissis]

Art. 67
(Sospensione dei termini relativi all’attivita’ degli uffici degli enti impositori)

1. Sono sospesi dall’8 marzo al 31 maggio 2020 i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori. Sono, altresì, sospesi, dall’8 marzo al 31 maggio 2020, i termini per fornire risposta alle istanze di interpello, ivi comprese quelle da rendere a seguito della presentazione della documentazione integrativa, di cui all’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, all’articolo 6 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128, e all’articolo 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147. Per il medesimo periodo, è, altresì, sospeso il termine previsto dall’articolo 3 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, per la regolarizzazione delle istanze di interpello di cui al periodo precedente. Sono inoltre sospesi i termini di cui all’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128, i termini di cui all’articolo 1-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, e di cui agli articoli 31-ter e 31-quater del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché i termini relativi alle procedure di cui all’articolo 1, commi da 37 a 43, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
2. In relazione alle istanze di interpello di cui al comma precedente, presentate nel periodo di sospensione, i termini per la risposta previsti dalle relative disposizioni, nonché il termine previsto per la loro regolarizzazione, come stabilito dall’articolo 3 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, iniziano a decorrere dal primo giorno del mese successivo al termine del periodo di sospensione. Durante il periodo di sospensione, la presentazione delle predette istanze di interpello e di consulenza giuridica è consentita esclusivamente per via telematica, attraverso l’impiego della posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ovvero, per i soggetti non residenti che non si avvalgono di un domiciliatario nel territorio dello Stato, mediante l’invio alla casella di posta elettronica ordinaria div.contr.interpello@agenziaentrate.it.
3. Sono, altresì, sospese, dall’8 marzo al 31 maggio 2020, le attività, non aventi carattere di indifferibilità ed urgenza, consistenti nelle risposte alle istanze, formulate ai sensi degli articoli 492-bis del c.p.c, 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies delle disposizioni di attuazione, di accesso alla banca dati dell’Anagrafe Tributaria, compreso l’Archivio dei rapporti finanziari, autorizzate dai Presidenti, oppure dai giudici delegati, nonché le risposte alle istanze formulate ai sensi dell’articolo 22 della legge 7 agosto, n. 241, e dell’articolo 5 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
4. Con riferimento ai termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività degli uffici degli enti impositori si applica, anche in deroga alle disposizioni dell’articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 12 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159.

[omissis]

Nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità. Cass. Civ., Sez. I, 13.07.2017 n. 17352

È nullo il contratto di mutuo, che non rispetta il limite di finanziabilità, ai sensi dell’art. 38 comma 2 T.U.B.; detto limite, infatti, rappresenta un elemento essenziale ai fini della qualificazione del finanziamento ipotecario come fondiario: il superamento dello stesso conduce alla nullità dell’intero contratto fondiario, salva la possibilità di conversione di questo in un ordinario finanziamento ipotecario (quando ne sussistano i presupposti). Così si è espressa la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17352 del 13.07.2017 (di cui è possibile scaricare la copia integrale delle motivazioni al link sotto riportato).

In argomento, si segnala ancheun articolo del 19.11.2012 (a cura del dott. Busani), tratto da Il Sole 24 Ore, sul decreto del Tribunale di Venezia, la cui impugnazione per Cassazione ha originato la pronuncia pubblicata, che è liberamente consultabile al seguente link: http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2012-11-19/mutuo-eccessivo-nullo-064320.shtml.

Di seguito il testo delle motivazioni di Cass. Civ., Sez. I, 13.07.2017 n. 17352.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio                Presidente
Dott. FERRO Massimo                 Consigliere
Dott. DI MARZIO Fabrizio           Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco           Consigliere – Rel.
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo   Consigliere

Ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19598/2012 proposto da:

Mediocredito Trentino Alto Adige S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via L. Bissolati n.76, presso l’avvocato Spinelli Giordano Tommaso, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Galletti Danilo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento Lorenzon Techmed System S.r.l., in persona del curatore dott. Capone Danilo, elettivamente domiciliato in Roma, Via Pompeo Magno n.3, presso l’avvocato Gianni Saverio, rappresentato e difeso dall’avvocato Solinas Gianni, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 26/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/05/2017 dal cons. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per la rimessione degli atti alle Sezioni Unite;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Enrica Fasola, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato Gianni Solinas che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Venezia, con decreto in data 26-7-2012, rigettava l’opposizione allo stato passivo del fallimento di Lorenzon Techmed System s.r.l., in liquidazione, che era stata proposta da Banca Mediocredito del Trentino Alto Adige s.p.a. per ottenere l’ammissione con collocazione ipotecaria del credito di Euro 2.180.714,00, oltre accessori, vantato in forza di un contratto di finanziamento ipotecario avente a oggetto l’erogazione della somma complessiva di oltre Euro 7.000.000,00 da parte di un pool di banche, costituito da MPS, Mediocredito del Friuli Venezia Giulia e Mediocredito del Trentino Alto Adige.

Il contratto era stato stipulato il 21-8-2006, con ipoteca di pari grado in favore dei mutuanti su un compendio immobiliare della fallita.

Il tribunale riteneva che la banca avesse violato la disciplina del mutuo fondiario stante l’avvenuto superamento del limite di finanziabilità di cui al combinato disposto dell’art. 38, comma 2, del T.u.b. e della delibera del Cicr 22-4-1995 (l’80% del valore dell’immobile dato in garanzia), con conseguente nullità del contratto nella sua interezza. Escludeva la possibilità di una conversione, integrale o parziale, ritenendo la relativa subordinata domanda inammissibile per novità, siccome proposta per la prima volta col ricorso in opposizione. Per la stessa ragione negava la possibilità di ammettere al chirografo il credito da restituzione d’indebito.

Mediocredito del Trentino Alto Adige ha proposto ricorso per cassazione affidato a dieci motivi.

La curatela ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del T.u.b. e dell’art. 1418 cod. civ., censura la decisione per avere ritenuto nullo il contratto di mutuo per contrarietà alla norma predetta, di natura imperativa. Sostiene difatti che la norma non è posta a tutela di interessi generali ma, integrata nella sede regolamentare, detta prescrizioni di comportamento rivolte agli istituti di credito per finalità prudenziali giacenti all’interno della disciplina della vigilanza, la cui eventuale violazione non incide sulla validità del contratto ma implica l’eventuale mera irrogazione di una sanzione amministrativa (art. 145 del T.u.b.).

Col secondo e col terzo motivo la ricorrente denunzia l’insufficiente o contraddittoria motivazione del provvedimento in ordine alla valutazione del compendio immobiliare ipotecato e all’omesso espletamento di opportuni accertamenti tecnici quanto al ritenuto superamento dei limiti di finanziabilità.

Col quarto, subordinato, motivo deduce inoltre la violazione e falsa applicazione dell’art.

38 del T.u.b., dell’art. 1418 cod. civ. e della citata delibera del Cicr in ragione dell’incertezza che sarebbe stata determinata dal margine di soggettività implicato nella stima del compendio, involgente uno scostamento minimo rispetto all’importo del finanziamento.

Col quinto mezzo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2704 cod. civ. e art. 45 L. Fall., sul rilievo che il finanziamento concesso dal pool di banche in questione si collocava ampiamente al di sotto dei limiti vigenti, considerato il capitale residuo dei finanziamenti pregressi con iscrizioni ipotecarie sugli stessi immobili. Sostiene che il tribunale avrebbe fatto malgoverno delle citate norme affermando che la documentazione afferente era priva di data certa.

Col sesto mezzo, nella subordinata ottica di cui sopra, è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2721 e 2726 cod. civ., in quanto si sarebbe dovuto consentire in ogni caso a essa banca di avvalersi dei comuni mezzi di prova in ordine al fatto dell’estinzione dei debiti pregressi e residui.

Col settimo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 cod. civ., atteso che ove anche si desse seguito alla tesi del tribunale circa la nullità del contratto di mutuo fondiario, la detta nullità si porrebbe in rapporto alla sola parte del credito eccedente il limite di vigilanza, con conseguente possibilità di considerare comunque il contratto come valido per l’intero credito salva l’impossibilità della banca di avvalersi dei benefici fondiari per la detta parte; ovvero, alternativamente, come determinativa della caducazione della fonte giustificativa del prestito per la parte eccedente, da ricondursi nell’alveo della dazione di indebito.

Con l’ottavo motivo la ricorrente lamenta l’insufficiente o contraddittoria motivazione della decisione impugnata in ordine alla ritenuta essenzialità della stipula del contratto in forma fondiaria.

Col nono e col decimo motivo, infine, richiamando la pronuncia di questa Corte n. 9219-95, e deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 99 L. Fall., art. 1424 cod. civ. e art. 112 cod. proc. civ., si duole che sia stata ignorata dal giudice del merito l’esplicita richiesta (i) di conversione del contratto ove ritenuto affetto da nullità, ovvero in estremo subordine (ii) di ammissione del credito al rango chirografario per la restituzione del capitale comunque erogato.

2. Devono essere esaminati prioritariamente i motivi dal secondo al sesto, tra loro connessi e finalizzati a censurare l’affermazione del giudice a quo circa il superamento della soglia di vigilanza del mutuo fondiario.

In proposito il tribunale ha ritenuto superato il limite di finanziabilità dettato dall’art. 38, secondo comma, del T.u.b. e della annessa delibera del Cicr 22-4-1995, esplicitamente esaminando, e confutando, innanzi tutto la stima effettuata dal perito incaricato dalla banca.

Ha osservato che la stima era stata effettuata in violazione di quanto preteso dalla direttiva 2000/12-CE, in ordine alla necessità di tener conto non solo dei prezzi di mercato all’epoca della negoziazione ma anche “degli aspetti durevoli a lungo termine dell’immobile (..) dell’uso corrente (..) e dei suoi appropriati usi alternativi”. Ne ha quindi tratto il convincimento della maggiore attendibilità, e della correttezza, della stima effettuata dal perito della procedura, sulla base di criteri rispondenti all’ottica prudenziale della direttiva Europea.

In tal guisa, il tribunale ha ritenuto che la banca non aveva fornito la prova dell’estinzione dei debiti anteriori all’erogazione del mutuo, sicchè nella determinazione dell’importo massimo finanziabile dovevasi tener conto anche dell’ammontare dei finanziamenti preg ressi.

Sul punto le critiche svolte dalla ricorrente vanno disattese.

2.1. Il secondo e il terzo motivo, formulati ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, si risolvono in un tentativo di rivisitazione del giudizio di fatto, congrua e insindacabile essendo la motivazione del tribunale nella parte afferente il valore del compendio.

Più volte è stato affermato che spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere altresì tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dando così prevalenza all’uno o all’altro mezzo (v. ex aliis Cass. n. 20518-08; Cass. n. 22901-05; Cass. n. 15693-04). Né l’onere di adeguatezza della motivazione comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni delle parti, o che debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da queste svolte, essendo sufficiente che risultino esposti in maniera concisa ma intelligibile gli elementi in fatto (e in diritto) posti a fondamento della decisione (tra le tante v. Cass. n. 24542-09; Cass. n. 407-06).

E’ poi rimesso alla valutazione discrezionale del giudice del merito il giudizio sul se disporre, o meno, una c.t.u. laddove risulti che egli sia già in possesso di dati tecnici suscettibili di esser posti a base della decisione (v. Cass. n. 72-11; Cass. n. 20814-04, ma anche, sebbene implicitamente, Cass. n. 17399-15).

Per cui, quando il giudice disponga di elementi istruttori sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel potere, salvo che la soluzione scelta non risulti infine immotivata o non adeguatamente motivata.

Alla luce di tali consolidati principi, il secondo e il terzo motivo sono inammissibili, mentre il quarto è generico, oltre che in sé scarsamente efficace, a proposito della asserita minimalità (1,86 %) dello scostamento del limite di vigilanza.

2.2. Il quinto motivo è infondato.

Si sostiene che l’estinzione dei debiti pregressi era stata provata con la produzione di distinte di versamento, di copie di assegni circolari e di un atto di quietanza e assenso alla cancellazione d’ipoteca da parte del creditore Antoveneta s.p.a., e che erroneamente il tribunale avrebbe opposto la mancanza di data certa dei documenti in questione quando questi avevano la limitata finalità di provare i fatti posti a base della prospettazione, non i negozi giuridici.

Può osservarsi che l’assunto implicato dal terzo motivo – tratto dal limitato operare dell’art. 2704 cod. civ. al caso in cui dalla scrittura si vogliano, in relazione alla sua data, conseguire gli effetti negoziali propri della convenzione contenuta nell’atto, e non anche al caso in cui la scrittura sia invocata come semplice fatto storico (v. Cass. n. 3998-03; Cass. n. 24955-06 e altre) – non pertiene al caso di specie.

Nel giudizio in cui sia parte il curatore del fallimento, il debitore non può opporre la quietanza, rilasciata dal creditore all’atto del pagamento, ove la stessa non abbia data certa anteriore; non può farlo neppure invocandola quale confessione stragiudiziale del pagamento stesso, atteso che essa è valida solo nel giudizio in cui siano parti l’autore e il destinatario di quella dichiarazione, mentre il curatore, pur ponendosi, nell’esercizio di un diritto del fallito, nella stessa posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo (v. in generale Cass. n. n. 13513-02, e nello stesso senso Cass. n. 14481-05; e v. pure rispetto all’azione revocatoria fallimentare, Cass. n. 1759-08).

Lo stesso principio vale per gli ulteriori documenti tesi a sostenere, nei riguardi del fallimento, la circostanza di un pagamento anteriore.

Il fatto poi che l’atto di quietanza e di assenso alla cancellazione in favore di Antonveneta fosse munito di forma notarile è del tutto assertorio: esso invero non emerge dalla sentenza e al riguardo il ricorso non soddisfa il fine di autosufficienza.

Va puntualizzato inoltre che la prova del fatto estintivo non può essere correlata al mero riferimento a titoli di credito, per loro natura astratti, salvo che si possa dimostrare che il rilascio degli stessi, con funzione solutoria, sia ricollegabile al contratto da cui sorgono le obbligazioni. Tale collegamento può essere oggetto di prova logica, sulla base di elementi documentali in tal senso concludenti, ma la relativa valutazione suppone accertamenti di fatto istituzionalmente rimessi al giudice del merito; e, in rapporto a una eventuale omessa valutazione di fatti storici ritenuti all’uopo rilevanti, la decisione avrebbe potuto essere impugnata solo deducendo vizi della motivazione.

2.3. Il sesto motivo è inammissibile per difetto di concludenza.

L’avvenuta estinzione dei finanziamenti pregressi viene addotta in rapporto a una doglianza di mancata ammissione di un capitolo di prova testimoniale.

La riproduzione del capitolo di prova rende tuttavia palese che si trattava di deduzione genericamente evocativa dell’avvenuta “estinzione” del debito residuo prima dell’erogazione del finanziamento.

Costituisce espressione di un principio pacifico che il ricorrente, ove in sede di legittimità denunci la mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (v. Cass. Sez. U n. 28336-11).

Ora il tribunale ha disatteso la prova perchè essa si poneva in contrasto, “in relazione all’ingentissimo ammontare del credito vantato dalla banca e all’opposizione della procedura all’espletamento di tale prova”, con gli artt. 2721 e 2726 cod. civ..

La ricorrente afferma che le norme dianzi citate attengono solo alla prova dei contratti e non anche alla prova dei fatti giuridici, ma non tiene conto che la ratio decidendi del giudice del merito ha fatto leva sulla natura di pagamento dell’atto estintivo di un debito contrattualmente assunto. Ed è inconferente citare in contrario Cass. n. 16538-09, giacchè il principio in essa affermato attiene alla fattispecie – del tutto diversa – degli atti di accreditamento e di prelevamento in conto corrente, non qualificabili quali autonomi negozi giuridici o, appunto, quali pagamenti, vale a dire come atti estintivi di obbligazioni, ma quali atti di utilizzazione di un unico contratto (di conto corrente) a esecuzione ripetuta.

Il che però a niente serve quando, invece, la mancata ammissione della prova testimoniale sia stata implicitamente riferita al pagamento quale atto estintivo intraneo al rapporto giuridico, all’esito di eccezione di parte opportunamente menzionata.

Il motivo di ricorso per la sua genericità non consente del resto di ritenere, in prospettiva di autosufficienza, che l’estinzione, a fronte del finanziamento pregresso, sia stata dedotta come fatto materiale estraneo alla esecuzione dello specifico rapporto giuridico.

E’ dunque intangibile l’accertamento del giudice del merito in ordine all’avvenuto superamento, nel caso di specie, del limite di finanziabilità (o di vigilanza) del mutuo fondiario.

3. Ciò stante, possono essere a loro volta unitariamente esaminati il primo, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, a proposito della conseguente sorte del suddetto mutuo in rapporto all’insinuazione della banca al passivo del fallimento.

I motivi sono infondati, giacchè il collegio ritiene di dover rimeditare il principio affermato dalla sezione in ordine al non essere il superamento del limite di finanziabilità determinativo della nullità del contratto di mutuo fondiario (v. Cass. n. 26672-13 e Cass. n. 27380-13, e poi anche Cass. n. 22446-15, Cass. n. 4471-16 e Cass. n. 13164-16).

3.1. A tal riguardo è utile innanzi tutto rammentare in qual modo la giurisprudenza si sia evoluta nel senso appena detto.

Ed è bene prender le mosse dalla considerazione che un contrapposto orientamento giurisprudenziale si era a suo tempo formato a proposito delle operazioni di credito edilizio.

Per i mutui di credito edilizio, destinati cioè alla “costruzione, ricostruzione, riparazione, trasformazione e sopraelevazione di edifici ad uso prevalente di abitazione non di lusso”, la L. n. 474 del 1949, art. 3 analogamente prevedeva che l’ammontare di ciascun mutuo non potesse eccedere la metà del valore cauzionale dell’immobile.

Tale norma era ritenuta avente natura imperativa, in quanto, in forza di essa e delle altre disposizioni di settore, da un lato, l’ammontare del mutuo si diceva collegato con lo scopo di agevolare la disponibilità di abitazioni non di lusso, sicchè ogni diversità rispetto alle previsioni di legge avrebbe costituito una violazione del detto scopo di carattere pubblico, e, dall’altro, essendo l’ipoteca, collegata al mutuo medesimo, posta a garanzia di un certo ammontare del credito – e non oltre – rispetto al valore del bene ipotecato, il superamento del limite avrebbe attribuito al creditore – ancora si diceva – una causa di prelazione non solo illegittima, ma anche nulla, perché contraria al principio della par condicio sancito dall’art. 2741 cod. civ. (v. Cass. n. 9219-95).

Secondo il citato indirizzo, la stipulazione di un mutuo in violazione dell’indicata norma dava quindi luogo a nullità del relativo contratto, eventualmente anche solo parziale, perchè il contratto era ritenuto scindibile nelle sue obbligazioni e riducibile a un contenuto minore ove fosse risultato che le parti lo avrebbero in ogni caso posto in essere con tale contenuto.

Per quanto in obiter dictum, la sentenza sopra citata aveva inoltre paventato l’estensione del principio anche in relazione al sopravvenuto art. 38 del T.u.b., per il caso della violazione dell’ammontare massimo dei finanziamenti in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, richiamando, a presidio della nullità del contratto, anche l’art. 117, comma 8.

Difatti quella giurisprudenza aveva ritenuto che le conseguenze legali dipendenti dalla violazione non potessero esaurirsi nelle sanzioni amministrative a carico degli amministratori dell’Istituto, vuoi in base alla vecchia legge bancaria del 1936 (art. 17), vuoi in base all’attuale T.u.b., dal momento che dette sanzioni non erano idonee ad assicurare la tutela degli interessi pubblici coinvolti.

3.2. L’orientamento direttamente affermatosi sull’art. 38 del T.u.b. ha fatto leva, invece, onde escludere la nullità del contratto di mutuo fondiario, sul non essere il limite di finanziabilità suscettibile di essere compreso all’interno delle ipotesi genericamente previste dall’art. 117, comma 8, del medesimo testo unico.

In caso di superamento del limite anzidetto ha poi escluso anche l’applicabilità dell’art. 1418 cod. civ., ritenendone ostativa la tradizionale impostazione secondo cui unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, non già la violazione di norme, anch’esse imperative, ma riguardanti il comportamento dei contraenti.

Da questo punto di vista, il fulcro del ragionamento è stato ancorato alla considerazione che la determinazione dell’importo massimo finanziabile sia prevista unicamente a tutela del sistema bancario, sicchè la soglia di finanziabilità investirebbe esclusivamente il comportamento della banca finanziatrice, tenuta a non esporsi oltre un limite di ragionevolezza, senza tuttavia incidere sul sinallagma.

Secondo il citato orientamento, ove non altrimenti stabilito dalla legge solo la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità. Mentre la disposizione dell’art. 38 del T.u.b. e i conseguenti provvedimenti delle autorità amministrative non sarebbero declinabili secondo il parametro di validità, sebbene secondo quello di condotta (o di comportamento): esse costituirebbero norme di “buona condotta” la cui violazione può, nel caso, comportare l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario.

Tale conclusione si è detto trovar conferma nel fatto che predicare la nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità significa travolgere la connessa garanzia ipotecaria, con il paradossale risultato di pregiudicare il valore della stabilità patrimoniale della banca che la relativa normativa intende invece proteggere. Invero nel credito fondiario il cliente ha tutto l’interesse a ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile, anche a prescindere dal limite di finanziabilità.

4. Osserva il collegio che la base argomentativa dell’indirizzo giurisprudenziale appena sintetizzato è condivisibile nella sola affermazione di non riconducibilità della fattispecie alla nullità testualmente stabilita dall’art. 117, comma 8, del T.u.b., perchè l’indicazione dell’importo massimo finanziabile non fa parte del contenuto del contratto di credito fondiario che può considerarsi tipico secondo il disposto di quella norma. La quale norma difatti non lo contempla neppure indirettamente, per il tramite del potere prescrittivo della Banca d’Italia.

E’ vero quindi che la questione posta dall’art. 38, comma 8, del T.u.b. non può risolversi all’interno della tesi della nullità testuale, a prescindere dalle divaricazioni di orientamento rinvenibili in dottrina a proposito della qualificazione – come tipizzante o connotativo – del potere della Banca d’Italia di prescrivere il contenuto di determinati contratti.

Ciò tuttavia non consente di condividere le conclusioni dell’orientamento inaugurato nel 2013 anche a proposito della concorrente esclusione della fattispecie generale di nullità ex art. 1418 cod. civ.

Questo perchè la prescrizione dei limiti di finanziabilità – per quanto non ascrivibile a un contenuto tipico predeterminato dall’autorità creditizia – si inserisce in ogni caso tra gli elementi essenziali perchè un contratto di mutuo possa dirsi “fondiario”.

5. La tesi fin qui sostenuta dall’indirizzo giurisprudenziale dominante fa leva, da questo secondo punto di vista, sul noto discrimine tra regole di validità e regole di comportamento. Osterebbe cioè all’applicabilità dell’art. 1418 cod. civ. la tradizionale impostazione secondo cui unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, ma riguardanti il comportamento dei contraenti.

Questa affermazione non convince sia nella premessa, sia nella conclusione.

6. Non convince innanzi tutto nella premessa, in quanto il fine della previsione dettata in materia di credito fondiario a proposito del limite massimo di concedibilità del finanziamento risponde a una necessità di analitica regolamentazione dettata da obiettivi economici generali (come opportunamente già messo in luce da Cass. n. 921995), attesa la ripercussione che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale.

A una simile ratio è correlato il trattamento di favore accordato alla banca che eroghi un tal tipo di finanziamento, sul versante del consolidamento breve dell’ipoteca fondiaria (art. 39 del T.u.b.) e della peculiare disciplina del processo esecutivo individuale attivabile pur in costanza di fallimento (art. 41). Ed è significativo notare che proprio da ciò è stato motivato il rigetto della questione di costituzionalità della disciplina di favore predetta (artt. 38 e seg. del T.u.b. e art. 67 L. Fall.), avendone la Corte costituzionale affermato la ragionevolezza in virtù del riconoscimento al credito fondiario di un ” evidente intento di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare “, effetto di una precisa scelta di politica economica – in quanto tale insindacabile – tesa ad agevolare l’accesso a “finanziamenti potenzialmente idonei (anche) a consentire il superamento di condizioni di crisi dell’imprenditore”, e a sostenere da questo punto di vista la stessa attività di impresa (v. C. cost. n. 17404).

In secondo luogo, l’orientamento inaugurato dalla sezione nel 2013 non appare convincente neppure sul versante della dicotomia tra regole di validità e regole di comportamento, posto che non si dubita – nè da quell’orientamento è stato posto minimanente in discussione – che l’art. 38 del T.u.b. sia norma imperativa.

Il significato della dicotomia sembra difatti contraddetto sul terreno degli interessi sottesi e dell’adeguatezza per l’ipotesi di violazione della norma imperativa.

La distinzione tra regole di validità e regole di comportamento, di matrice dottrinale, trova compiuto sviluppo giurisprudenziale in quanto dalle Sezioni unite è stato affermato a proposito dell’intermediazione finanziaria (v. Cass. Sez. U n. 26724-07 e n. 26725-07).

In relazione alla nullità negoziale per contrarietà a norme imperative (in difetto di espressa previsione in tal senso: cosiddetta “nullità virtuale”), le Sezioni unite hanno confermato la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità, e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere, invece, fonte di responsabilità.

E’ un fatto, però, che nel solco appena indicato il discrimine si incentra sull’essere determinative di nullità, e non di mera responsabilità, le violazioni attinenti a elementi intrinseci del negozio, relativi alla sua struttura (il contenuto).

In questo specifico senso la nullità non può discendere da condotte illegittime tenute nella fase prenegoziale o esecutiva del contratto.

7. Ora la fissazione di un limite di finanziabilità, quanto alla disciplina dell’art. 38 del T.u.b. e delle norme regolamentari afferenti, non è confinabile nell’area del comportamento in fase prenegoziale: l’area cioè della contrattazione tra banca e cliente.

Nè è correlabile, ovviamente, alla fase attuativa.

Consegue che non è pertinente osservare che nel credito fondiario il cliente ha tutto l’interesse a ottenere il finanziamento nel massimo importo possibile, anche a prescindere dal limite di finanzia bilità.

Il punto è che tutte le regole giuridiche sono regole di condotta, con la conseguenza che, se è indubbio che l’art. 38, comma 2, del T.u.b. incide su un contegno della banca, è altrettanto indubbio che la soglia stabilita per il finanziamento ha la funzione di regolare il quantum della prestazione creditizia, per modo da incidere direttamente sulla fattispecie.

8. Non serve allora obiettare che, essendo il limite di finanziabilità in funzione del rapporto tra il contratto di finanziamento e il contratto di concessione d’ipoteca, il suo rispetto non può essere percepito mediante un’analisi isolata del mutuo.

L’obiezione, che pure è desumibile dalle decisioni del 2013 sopra citate, si sostanzia nel rilievo che predicare la nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità significherebbe travolgere la connessa garanzia ipotecaria, con il paradossale risultato di pregiudicare il valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intende invece proteggere.

In verità la norma non è volta a tutelare la stabilità patrimoniale della singola banca, ma persegue interessi economici nazionali (pubblici).

E’ ovvio che la nullità ha come conseguenza l’incapacità del contratto di produrre il proprio effetto, compresa la costituzione di un’ipoteca valida. Ma ciò non può indurre a considerare la soglia di finanziabilità come un elemento estrinseco alla fattispecie, perchè la fattispecie negoziale, nel nesso tra mutuo e ipoteca, è giustappunto e comunque unitaria.

Poichè nella distinzione accolta dalle richiamate sentenze delle Sezioni unite la violazione di una norma imperativa determina l’invalidità ogni volta che incide sulla regola negoziale, vale a dire ogni volta che sia apprezzabile un contrasto tra la disposizione violata e il regolamento d’interessi sotteso al negozio, non sembra che l’interpretazione fin qui propugnata dalla sezione possa essere mantenuta ferma, per lo meno perchè da questo punto di vista intrinsecamente contraddittoria.

Col superamento del limite di finanziabilità, il precetto di cui all’art. 38, comma 2, del T.u.b. è disatteso non solo (e non tanto) sul versante del comportamento, quanto e soprattutto sul versante dell’oggetto del finanziamento fondiario eccessivo.

9. Le esposte considerazioni si palesano dirimenti al fine di ribaltare l’orientamento fin qui affermatosi.

Esse trovano ulteriore e logico conforto nella materia concorsuale.

Ove intervenga la crisi dell’impresa finanziata, l’interesse del cliente recede dinanzi all’interesse della massa creditoria, sicchè la vicenda si colloca tutta nei confini del rispetto della par condicio (già declinato d’altronde dall’art. 2741 cod. civ.).

L’interpretazione che in materia di credito fondiario esclude la nullità del relativo contratto, ove pur sia violato il limite massimo di concedibilità del finanziamento, finisce per mantenere intatta una causa di prelazione resa illegittima dalla violazione del precetto normativo.

Da questo angolo visuale è da condividere il rilievo dottrinale per cui il collegamento esistente tra il finanziamento e l’ipoteca suppone non potersi dissociare l’esegesi dell’art. 38, comma 2, del T.u.b. dalla sua funzione di limite sia del credito (fondiario), sia del connesso privilegio (fondiario), a meno di scadere – come efficacemente osservato – in un’inaccettabile protezione dell’illegalità.

Siffatto rilievo giustifica, nel contempo, ancora oggi, la sottolineatura rinvenibile in Cass. n. 9219-95 circa l’inadeguatezza dello strumento sanzionatorio amministrativo, giacchè sanzionare il superamento della soglia con l’irrogazione di mere sanzioni amministrative, facendo sempre salva la validità del contratto, significa consentire infine alla banca di disporre – essa – della fattispecie del credito fondiario, mantenendone i benefici correlati pur nel mancato rispetto dei limiti di legge, con conseguente pregiudizio delle pretese dei creditori concorrenti. Conclusione che sarebbe insostenibile non solo sul piano funzionale, ma anche da un punto di vista tecnico, in quanto distonica con quanto ancora una volta affermato dalle Sezioni unite nelle ripetute sentenze n. 26724-07 e n. 26725-07.

Ivi si è detto che non può escludersi la nullità del contratto se, dinanzi a infrazioni di norme imperative, non sia disponibile un rimedio che possa concretamente servire l’interesse sotteso alla disposizione violata.

Ebbene l’interesse in questione è pubblico.

E allora insistere sulle sanzioni amministrative irrogabili alla banca è cosa non proficua, perchè la limitazione dell’importo del mutuo e, conseguentemente, della garanzia ipotecaria, non riflettendo gli interessi particolari delle parti contraenti, costituisce un limite inderogabile alla loro autonomia privata.

10. Tanto comporta il rigetto dei sopra menzionati motivi primo, settimo e ottavo, dovendosi affermare il seguente principio: il mancato rispetto del limite di finanziabilità, ai sensi dell’art. 38, comma 2, del T.u.b. e della conseguente Delib. Cicr, determina di per sè la nullità del contratto di mutuo fondiario; e poichè il detto limite è essenziale ai fini della qualificazione del finanziamento ipotecario come, appunto, “fondiario”, secondo l’ottica del legislatore, lo sconfinamento di esso conduce automaticamente alla nullità dell’intero contratto fondiario, salva la possibilità di conversione di questo in un ordinario finanziamento ipotecario ove ne risultino accertati i presupposti.

Non può seguirsi la tesi della ricorrente a proposito della configurazione di una fattispecie di nullità parziale, riguardante cioè il mutuo fondiario e la corrispondente e dipendente iscrizione ipotecaria solo per la eccedenza rispetto ai limiti di legge.

A siffatta tesi della nullità parziale ostano non solo le difficoltà pratico-giuridiche di conciliare il frazionamento dell’unico contratto stipulato tra le parti col possibile consolidamento dell’ipoteca per la sola porzione fondiaria, ma anche e a monte la considerazione che l’art. 38 del T.u.b. individua oggettivamente i caratteri costitutivi dell’operazione di credito fondiario nel rispetto del limite evocato dal comma 2 della disposizione. Cosicchè è corretta l’inferenza che solo al riscontro dei caratteri indicati nella disposizione consente di associare la qualificazione come fondiaria dell’operazione negoziale: un finanziamento ipotecario non rispettoso dei limiti legali involti dalla disciplina normativa non soddisfa il requisito della “fondiarietà” stabilito dalla norma imperativa.

Ferma allora la nullità del contratto di mutuo fondiario, l’unica modalità di recupero del contratto nullo è quella della conversione in un contratto diverso (art. 1424 cod. civ.).

11. A questo riguardo dev’essere accolto, il nono motivo di ricorso, col quale la banca, ricordato di aver chiesto, subordinatamente, la conversione del contratto in un finanziamento avente integrale natura di mutuo ordinario (art. 1424 cod. civ.), lamenta che il tribunale abbia erroneamente ritenuto inammissibile tale istanza perchè in contrasto col principio di immutabilità della domanda.

In questo il tribunale ha errato perchè è vero che i poteri officiosi di rilevazione di una nullità negoziale non possono estendersi alla rilevazione di una possibile conversione del contratto, ostandovi il dettato dell’art. 1424 cod. civ. secondo il quale il contratto nullo può, non deve, produrre gli effetti di un contratto diverso. Difatti si determinerebbe, altrimenti, un’inammissibile rilevazione di una diversa efficacia, sia pur ridotta, della convenzione negoziale (Cass. Sez. U n. 26242-14). Non è men vero però che l’istanza di conversione è certamente ammissibile ove sia avanzata nel primo momento utile conseguente alla rilevazione della nullità.

Si tratta infatti di un’istanza consequenziale alla rilevata nullità dell’unico titolo negoziale posto al fondo della domanda originaria.

Diversamente allora da quanto affermato dal tribunale, una simile istanza ben poteva essere formulata per la prima volta col ricorso in opposizione allo stato passivo, una volta appurato che il credito non era stato ammesso a cagione della nullità del contratto di mutuo fondiario e dell’annessa ipoteca.

12. Resta assorbito il decimo mezzo.

Il decreto del tribunale di Venezia va cassato nei sensi appena detti.

Segue il rinvio al medesimo tribunale, diversa sezione, il quale, attenendosi ai sintetizzati principi di diritto, si pronuncerà sull’istanza di conversione (ovvero sulle questioni assorbite) provvedendo ai pertinenti accertamenti di fatto.

Il tribunale provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi otto motivi di ricorso, accoglie il nono e dichiara assorbito il decimo; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al tribunale di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017.

 

Inapplicabile la disciplina del d.l. 83/2015 in punto di impignorabilità della quota del conto su cui è accreditata la pensione ai pignoramenti antecedenti il decreto legge. Trib. Bologna sent. 20.12.2016 n. 3116 dott.ssa Chierici

Il Tribunale di Bologna, nel solco della pronuncia della Consulta n. 85/2015, conferma che non può applicarsi la disciplina introdotta dal d.l. n. 83/2015, alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del predetto decreto legge, e che, conseguentemente, il credito per il saldo del conto corrente, nonostante sia stato alimentato da rimesse pensionistiche, non gode, per i detti pignoramenti antecedenti il d.l. n. 83/2015, dell’impignorabilità parziale relativa ai crediti da pensione.

Di seguito, il testo delle motivazioni.

* * *

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA

QUARTA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Bologna, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott.ssa Rita CHIERICI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. R.G. 12432/2014, promossa da:

Tizia, rappresentata e difesa dal prof. avv. A.R.

ATTORE

contro

Caio, rappresentato e difeso dall’avv. S.P.

CONVENUTO

CONCLUSIONI

I Procuratori delle parti, all’udienza del 26.05.2016, hanno precisato le proprie conclusioni riportandosi ai rispettivi atti introduttivi.

Il Procuratore di parte attorea ha precisato come da atto di citazione, con le integrazioni indicate a verbale:

Voglia l’Ecc.mo Tribunale adito, contrariis rejectis:

1) accertare e dichiarare la illegittimità dell’ordinanza di sospensione della procedura esecutiva n. 54488/2013, con conseguente revoca del provvedimento medesimo, come già statuito nell’ordinanza collegiale del 15.7.14 del Tribunale di Bologna (N.R.G. 6669/14);

2) accertare e dichiarare la infondatezza in fatto e in diritto dell’opposizione agli atti esecutivi promossa da Caio e conseguentemente rigettare l’opposizione medesima con ogni conseguenza di legge;

3) in via subordinata, limitare l’impignorabilità non oltre 1/5 dell’ultima pensione, ritenendo pignorabili tutte le ulteriori somme esistenti sul conto corrente cointestato a Caio ;

4) in via ulteriormente subordinata, ritenere pignorabile per l’intero il cumulo del 1/5 sulle somme versate in conto corrente;

5) in ogni caso con vittoria di spese e competenze di lite.

Il Procuratore di parte convenuta ha precisato le conclusioni come da comparsa di risposta, dichiarando di non accettare il contraddittorio su eventuali domande nuove e insistendo per l’acquisizione del fascicolo del reclamo e del fascicolo del procedimento cautelare indicati in comparsa:

Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, azione ed eccezione, previa acquisizione dei fascicoli R.G.E. 5488/13 relativo all’opposizione all’esecuzione ex art. 615, c. 2°, c.p.c. e R.G. 6669/14 riguardante il reclamo ex artt. 624 e 669 terdecies c.p.c., rigettare integralmente le domande formulate da controparte nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di merito in quanto infondate in fatto e in diritto per i motivi suesposti e per l’effetto:

A) accertare e dichiarare che gli accrediti sul conto corrente oggetto del pignoramento riguardano solo ed esclusivamente gli emolumenti pensionistici percepiti dal sig. Caio;

B) accertare e dichiarare la assoluta impignorabilità della parte di pensione necessaria ad assicurare al sig. Caio i mezzi adeguati alle esigenze di vita, corrispondente al trattamento minimo mensile;

C) dichiarare nullo e/o inefficace il pignoramento presso terzi relativo all’intera somma accreditata sul conto corrente intestato al sig. Caio come da dichiarazione di terzo, considerata la natura assistenziale delle somme sottoposte a pignoramento;

D) limitare il pignoramento nella misura di 1/5 da calcolarsi sulla parte residua della pensione una volta dedotta la quota parte di pensione corrispondente al trattamento minimo mensile.

Con vittoria di spese ed onorari di giudizio“.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato Tizia esponeva di aver promosso procedura esecutiva N. 5488/2013 R.G.E. nei confronti del debitore  Caio, con atto di pignoramento mobiliare presso terzi del 19.11.2013, in forza di sentenza del Tribunale di Bologna n. 2862 del 9.10.2013 passata in giudicato; tale sentenza condannava Ciao al pagamento, in favore di Tizia, della somma di € 100.000,00, oltre interessi al tasso legale e spese processuali; con atto di precetto, la Tizia intimava al debitore di pagare la somma complessiva di € 120.141,47 e notificava atto di pignoramento nei confronti di diversi istituti di credito, ove il Caio disponeva di rapporti bancari; le dichiarazioni rese dagli istituti di credito ex art. 547 c.p.c. erano tutte negative, ad eccezione di quella predisposta dalla banca CARISBO in data 7.1.2014, che dava conto dell’esistenza presso la filiale di Bologna-sede di un conto corrente intestato a Caio e ad altra persona, avente un saldo di € 4.400,11.

Con ricorso in opposizione ex art. 615 co. 2 c.p.c., il Caio chiedeva accertare che gli accrediti presenti sul conto corrente oggetto del pignoramento riguardassero solo ed esclusivamente gli emolumenti pensionistici da lui percepiti, con conseguente impignorabilità assoluta delle somme destinate a garantire le esigenze di vita del debitore (corrispondenti al trattamento minimo mensile) o quantomeno nella misura di 1/5 da calcolarsi sulla parte della pensione residua, una volta dedotta la parte corrispondente al trattamento minimo mensile; nel ricorso Caio proponeva altresì istanza di sospensione del processo ex art. 624 c.p.c.

Il G.E. con decreto del 23.12.2013, poi confermato con ordinanza dell’11.04.2014, sospendeva la procedura esecutiva N. 5488/2013, sul presupposto che la pensione di Caio, accreditata sul conto corrente CARISBO, fosse rimasta identificabile e riconoscibile come tale, nella denominazione e nell’importo, e non avesse perduto le caratteristiche sue proprie.

Tizia proponeva reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. contro l’ordinanza del G.E.. Il reclamo veniva accolto parzialmente con ordinanza depositata il 15.07.2014, che revocava la disposta sospensione dell’esecuzione: la quota pignorabile del trattamento pensionistico confluito sul conto corrente del Caio veniva determinata nella misura di € 300,00.

Nell’atto di citazione che introduceva la presente causa di merito, Tizia, insistendo nelle proprie difese, come formulate nei procedimenti cautelari di opposizione e di reclamo, sosteneva che in relazione agli emolumenti pensionistici accreditati sul conto corrente del debitore non potessero operare i limiti di pignorabilità previsti dalle leggi speciali e dall’art. 545 c.p.c., in ragione sia della fungibilità del denaro, sia del venire meno del rapporto giuridico tra pensionato ed ente pagatore e del contestuale avvio di un nuovo rapporto, tra banca e correntista, non soggetto a limiti di pignorabilità; chiedeva, pertanto, rigettarsi l’opposizione e, in via subordinata, limitare l’impignorabilità non oltre a 1/5 dell’ultima pensione o, in via ulteriormente subordinata, di tutte le somme versate sul conto corrente.

Parte attrice eccepiva, altresì, l’incompetenza per valore di questo Tribunale, in favore del Giudice di Pace, ai sensi dell’art. 17 c.p.c., tenuto conto dell’importo del credito in contestazione, pari ad € 4.400,11.

Si costituiva parte convenuta depositando ritualmente comparsa di risposta, insistendo nelle deduzioni già svolte in ricorso e chiedendo dichiarare nullo il pignoramento presso terzi, per assoluta impignorabilità della parte di pensione necessaria ad assicurare al Caio mezzi di sussistenza adeguati alle sue esigenze di vita, e in subordine limitare il pignoramento nella misura di 1/5 sulla parte residua della pensione, una volta dedotta la parte corrispondente al trattamento minimo mensile.

Istruita la causa con la sola produzione documentale e con l’acquisizione in visione del fascicolo R.G.E. 5488/13 (relativo all’opposizione all’esecuzione ex art. 615 co. 2° c.p.c.) e del fascicolo R.G. 6669/14 (riguardante il reclamo ex artt. 624 e 669 terdecies c.p.c.) – da restituire alla Cancelleria all’atto del deposito della presente sentenza – all’udienza del 26.05.2016 venivano precisate le conclusioni, come in epigrafe trascritte, con concessione ai Procuratori delle parti dei termini per il deposito di scritti conclusionali ex art. 190 c.p.c.

Innanzitutto, l’eccezione di incompetenza sollevata da parte attrice appare infondata e deve essere rigettata.

Si rileva, in primo luogo, che l’eccezione, svolta nella parte espositiva dell’atto di citazione, non è stata ulteriormente coltivata da parte attrice nel corso del giudizio, né richiamata in sede di precisazione delle conclusioni. Inoltre, si ritiene che la X non sia legittimata a sollevare la relativa eccezione, dal momento che il ricorso in opposizione è stato correttamente proposto dal Caio davanti al giudice dell’esecuzione già designato, come previsto dall’art. 615 co. 2 c.p.c., mentre la causa di merito, introdotta con atto di citazione dalla Tizia, doveva essere proposta avanti al giudice ritenuto competente, ai sensi dell’art. 616 c.p.c., da individuarsi a cura dell’attore.

Si consideri, poi, che in base all’orientamento dominante della giurisprudenza il valore della causa di opposizione all’esecuzione si determina, ai sensi dell’art. 17 c.p.c., con riferimento all’intero ammontare del credito per cui si procede, e non in base alla somma contestata (Cass. civ. 13402/2000, 9755/1998, 14303/1999, 10591/1993); né può comportare una diversa soluzione l’applicazione dell’orientamento minoritario, secondo cui il “credito per cui si procede” ex art. 17 c.p.c. è costituito dall’importo indicato nel pignoramento e non nell’atto di precetto (Cass. civ. 19488/2013); infatti, nel caso di specie entrambi gli atti riportano l’ammontare complessivo del credito.

Nel merito, si ritiene che l’opposizione proposta da Caio avverso all’atto di pignoramento presso terzi sia infondata.

Non appare, allo stato, condivisibile l’orientamento seguito da una parte della giurisprudenza di merito e dallo stesso Tribunale di Bologna nell’ordinanza di reclamo depositata il 15.07.2014, che ha determinato la quota pignorabile delle somme intestate al debitore Caio e ha revocato la sospensione dell’esecuzione disposta dal G.E.: in particolare, il Collegio ha individuato in € 600,00 l’entità della quota mensile assolutamente impignorabile della pensione del Caio, in quanto destinata a garantirgli mezzi adeguati in relazione alle sue esigenze di vita, per poi applicare sull’importo residuo il limite di un quinto di cui all’art. 545 c.p.c. Nel caso di specie, in cui la pensione era già stata accreditata sul conto corrente, il Tribunale ha comunque fatto ricorso alle norme sui limiti di pignorabilità del trattamento pensionistico, richiamando quanto affermato dalla sentenza della Corte Cost. n. 506 del 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 128 R.D. n. 1827/1935, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall’INPS, anziché prevedere l’impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per i crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita, nonché la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte.

Tuttavia, tale orientamento non può allo stato essere condiviso.

Innanzitutto, la Suprema Corte ha avuto già modo di esprimersi in senso ad esso contrario, in un caso che appare del tutto pertinente a quello in esame, in cui la procedura esecutiva era stata promossa dal creditore sulle somme di denaro derivanti dalle retribuzioni percepite dal debitore in dipendenza del rapporto di lavoro e depositate sul suo conto corrente; il debitore, a sua volta, ne eccepiva l’impignorabilità, quantomeno nei limiti di un quinto ai sensi dell’art. 545 c.p.c. (Cass. Sez. L. n. 17178 del 9.10.2012). Al riguardo, la Corte di Cassazione così ha affermato nella motivazione della sentenza: “Va, infatti, ritenuto che qualora le somme dovute per crediti di lavoro siano già affluite sul conto corrente o sul deposito bancario del debitore esecutato non si applicano le limitazioni al pignoramento previste dall’art. 545 cod. proc. civ.. E, d’altra parte, detta ultima norma quando prevede la possibilità di procedere al pignoramento dei crediti soltanto nel limite del “quinto” del loro ammontare si riferisce ai crediti di lavoro.

Orbene, per individuare la natura di un credito (ivi compreso quello avente ad oggetto somme di denaro) occorre accertare il titolo per il quale certe somme sono dovute ed i soggetti coinvolti nel rapporto obbligatorio. Ond’è che, laddove il creditore procedente notifichi un pignoramento presso il datore di lavoro del suo debitore, non v’è dubbio che le “somme” da questi dovute a titolo di retribuzione rappresentino un credito di lavoro. Viceversa, quando il creditore pignorante sottoponga a pignoramento (id est a sequestro) somme esistenti presso un istituto bancario ove il debitore intrattiene un rapporto di conto corrente e sul quale affluiscono anche le mensilità di stipendio, il credito del debitore che viene pignorato è il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente. Sono, quindi, del tutto irrilevanti le ragioni per le quali quelle “somme” sono state versate su quel conto: il denaro è bene fungibile per eccellenza“.

La Corte ha così affermato il principio condivisibile secondo cui l’impignorabilità o i limiti di pignorabilità dello stipendio o della pensione non operano quando le somme ad essi relative vengono versate sul conto corrente bancario del debitore, sia in ragione della fungibilità del denaro, sia perché all’atto del versamento delle somme sul conto corrente cessa il rapporto giuridico tra lavoratore/pensionato (soggetto esecutato) e datore di lavoro/ente pagatore, con conseguente venir meno dei limiti di pignorabilità nascenti da tale tipo di rapporto; sorge invece un nuovo rapporto giuridico tra la banca e il correntista, che non è soggetto ai medesimi limiti.

Il principio è stato ribadito di recente anche dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 85 del 15.04.2015, che ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 e 3, comma 5, lettera b), del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost., in quanto consentirebbero al terzo creditore di aggredire senza limiti i redditi da lavoro o da pensione che alimentano il saldo del conto corrente intestato al debitore.

Nell’occasione la Consulta ha avuto modo di affermare che l’esclusione della pignorabilità dei crediti da pensione o comunque l’applicazione dei limiti ordinari di cui all’art. 545 c.p.c. non è possibile con riguardo all’ipotesi in cui dette somme siano già transitate dal soggetto erogatore al conto corrente dell’avente diritto, in quanto ormai definitivamente acquisite dal dipendente e confluite nel suo patrimonio, sia che esse si trovino nel suo diretto possesso, sia che esse risultino depositate a suo nome presso banche ed assoggettate, quindi, alla disciplina dell’art. 1834 cod. civ. Dunque, i limiti della pignorabilità concernono i crediti per causa di pensioni o redditi assimilati, ma non le somme che ne sono oggetto, una volta erogate dal soggetto obbligato, in quanto con il versamento in conto si verifica l’estinzione (pro rata) del rapporto obbligatorio corrente tra il pensionato ed il terzo debitore del trattamento economico. In particolare, “Il denaro versato in conto, seguendo l’ordinario regime dei beni fungibili, secondo le regole del deposito irregolare (art. 1782 cod. civ.), diviene di proprietà dell’istituto di credito (artt. 1834 e 1852 e seguenti cod. civ.), con contestuale nascita di un diverso rapporto obbligatorio tra l’istituto di credito ed il depositario o correntista, che si compendia nel diritto a richiedere in ogni momento il saldo attivo risultante dal conto e per il quale non sono previsti limiti di pignorabilità dipendenti dalle cause che diedero origine agli accrediti. Da tale disciplina deriva quindi la pignorabilità indistinta delle somme giacenti sul conto corrente, secondo il principio generale dell’art. 2740 cod. civ. In definitiva, il pignoramento del conto corrente concerne il credito del correntista verso la banca per quanto risulta dal saldo delle rimesse effettuate sul conto stesso“.

Dunque, “il credito per il saldo del conto corrente, nonostante sia stato alimentato da rimesse pensionistiche, non gode, allo stato della legislazione, dell’impignorabilità parziale relativa ai crediti da pensione“.

La Corte reputa tuttavia che “la tutela dell’interesse costituzionalmente protetto dall’art. 38 Cost. non può ritenersi suscettibile di compressione, in modo assoluto o comunque sproporzionato, per effetto della penalizzante combinazione delle regole giuridiche inerenti alla struttura del contratto di conto corrente bancario e della responsabilità patrimoniale“, ma osserva che “in tale contesto l’individuazione e le modalità di salvaguardia della parte di pensione necessaria ad assicurare al beneficiario mezzi adeguati alle sue esigenze di vita è riservata alla discrezionalità del legislatore, il quale (…) non può sottrarsi al compito di razionalizzare il vigente quadro normativo in coerenza con i precetti dell’art. 38, secondo comma, Cost.“; evidenzia, in particolare, che “il principio di tutela del pensionato di cui all’art. 38, secondo comma, Cost. soffre, in relazione al quadro normativo illustrato, gravi limitazioni suscettibili di comprimerlo oltre i limiti consentiti dall’ordinamento costituzionale“, tanto che “Il vulnus riscontrato e la necessità che l’ordinamento si doti di un rimedio effettivo per assicurare condizioni di vita minime al pensionato, se non inficiano – per le ragioni già esposte – la ritenuta inammissibilità delle questioni e se non pregiudicano la «priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario» (sentenza n. 23 del 2013), impongono tuttavia di sottolineare la necessità che lo stesso legislatore dia tempestiva soluzione al problema individuato nella presente pronuncia“.

In linea con la posizione della Corte, il legislatore è intervenuto ad introdurre uno strumento di tutela a salvaguardia della parte di stipendio o di pensione necessaria ad assicurare al beneficiario mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, anche nel caso di accredito degli emolumenti su conto bancario o postale intestato al debitore (art. 545 co. 8 c.p.c., introdotto con D.L. 27.06.2015, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 6.08.2015, n. 132). Trattasi, tuttavia, di disposizione che non trova applicazione nel caso di specie, essendo entrata in vigore successivamente all’esecuzione del pignoramento oggetto dell’opposizione.

In presenza di un vuoto normativo di tutela, riconosciuto e stigmatizzato dalla Corte Costituzionale, non è consentita l’applicazione analogica dei limiti di pignorabilità della pensione che operano, a tutela delle esigenze di vita dell’avente diritto, in relazione all’ipotesi comune in cui gli emolumenti non siano stati ancora erogati e versati sul conto corrente del pensionato.

Pertanto, tenuto conto delle domande proposte dalle parti, s’impone il rigetto dell’opposizione, tenuto conto della validità ed efficacia dell’atto di pignoramento già eseguito. Deve, poi, essere confermata la revoca dell’ordinanza di sospensione della procedura esecutiva N. 5488/2013, pronunciata dal G.E. in data 11.04.2014, revoca già disposta con l’ordinanza di reclamo del Tribunale di Bologna depositata il 15.07.2014.

Non rileva, poi, la circostanza che il conto corrente CARISBO sia cointestato al Caio e alla moglie, in quanto, come ha riconosciuto lo stesso convenuto nella comparsa di costituzione, egli ha offerto la prova documentale che le somme ivi depositate sono nella sua esclusiva titolarità.

Nonostante il rigetto dell’opposizione e l’accoglimento delle domande attoree, le spese di lite debbono essere compensate tra le parti, ai sensi dell’art. 92 co. 2 c.p.c. in ragione del mutamento della giurisprudenza intervenuto sulle questioni trattate, oggetto della controversia, tenuto conto dell’avvenuto definitivo superamento (per effetto delle condivisibili sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, sopra richiamate) dell’orientamento della giurisprudenza di merito (favorevole all’applicazione analogica dei limiti di pignorabilità della pensione ai casi di accredito degli emolumenti sul conto corrente del debitore), seguito dal Tribunale di Bologna nell’ordinanza pronunciata in sede di reclamo nella presente causa.

P.Q.M.

Il Tribunale di Bologna, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

– accoglie l’opposizione e per l’effetto dichiara la validità dell’atto di pignoramento eseguito da Tizia , in relazione al credito di € 4.400,11 spettante a Caio nei confronti di CARISBO, in forza di dichiarazione resa da tale istituto di credito ex art. 547 c.p.c. in data 7.1.2014;

– conferma la revoca dell’ordinanza di sospensione della procedura esecutiva N. 5488/2013, pronunciata dal G.E. in data 11.04.2014, già disposta dal Tribunale di Bologna nell’ordinanza di reclamo depositata il 15.07.2014;

– compensa tra le parti le spese di lite.

Bologna, 10 dicembre 2016

IL GIUDICE

Dott.ssa Rita CHIERICI

Inapplicabile la disciplina del d.l. 83/2015 in punto di impignorabilità della quota delle pensioni ai pignoramenti antecedenti il decreto legge. Trib. Reggio Emilia sent. 19.05.2016 n. 744 dott.ssa Di Paolo

Il Tribunale di Reggio Emilia si pronuncia su due aspetti, non particolarmente infrequenti in materia di opposizioni all’esecuzione, sancendo che:

  1. non può applicarsi la disciplina introdotta dal d.l. n. 83/2015, il quale esclude la pignorabilità delle pensioni per un ammontare corrispondente alla “misura massima mensile dell’assegno sociale aumentato della metà“, alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del predetto decreto legge, a norma dell’art. 23 comma 6 d.l. cit., trovando conseguentemente applicazione la normativa contenuta nell’art. 128 del r.d. 1827/1935 e nell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
  2. quando manchi una ripartizione esplicita delle spese liquidate in sentenza tra più soccombenti, il criterio residuale fissato dall’art. 97 comma 2 cod. proc. civ. impone la ripartizione delle spese per quote eguali tra i vari soccombenti e trova applicazione pure in presenza di un’obbligazione solidale, introducendo la norma, di fatto, una presunzione di parziarietà dell’obbligo, riguardante le spese processuali (in assenza di decisione sul punto).

Di seguito, il testo delle motivazioni.

* * *

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA

in persona del Giudice unico, dott.ssa Simona Di Paolo

ha pronunciato dandone lettura all’udienza del 19/5/2016 ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado, iscritta al n° 7389/2015 RG del Tribunale di Reggio Emilia, trattenuta in decisione, a seguito di discussione orale, all’udienza del 19/05/2016, promossa da

Tizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Carlo Canti e Raffaella Sueri ed elettivamente domiciliato presso il loro studio sito in Carpi, via Ugo da Carpi n. 30, giusta procura in calce al ricorso per opposizione all’esecuzione,

OPPONENTE

nei confronti di

Caio e Sempronio,

OPPOSTI CONTUMACI

avente ad oggetto: opposizione all’esecuzione

Conclusioni per come da verbale di udienza del 19.5.2016.

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione regolarmente notificato Tizio ha instaurato il giudizio di merito ex art. 616 c.p.c. per sentir dichiarare l’illegittimità del pignoramento eccedente il quinto del rateo pensionistico corrisposto allo stesso attore, nonché per sentir dichiarare l’illegittimità del pignoramento fatto eseguire da Caio e Sempronio anche per la quota debitoria di competenza di altro condebitore. Il tutto con vittoria delle spese di lite e condanna ex art. 96 c.p.c.

Le ragioni fatte valere dall’odierno attore nel presente giudizio afferiscono a due motivi di doglianza: da un lato l’illegittimità del pignoramento mobiliare r.g.e. 62/2015 relativo ad 1/5 dell’intero rateo pensionistico mensile, anziché ad 1/5 della parte di rateo che supera il minimo pensionistico e, dall’altro lato, la considerazione per cui il titolo esecutivo da cui è originato il procedimento esecutivo – costituito dalla sentenza 1437/2014, prevedeva la condanna di Tizio e Mevia alla refusione delle spese di lite, sicchè sarebbe illegittimo procedere in executivis nei confronti del solo attore per ottenere il pagamento dell’intero a fronte della condanna non solidale di due soggetti.

I convenuti, regolarmente citati, non si sono costituiti e ne deve, pertanto, essere dichiarata la contumacia.

L’opposizione è fondata e va, pertanto accolta.

Quanto alla doglianza relativa all’entità della somma pignorata nell’ambito della procedura n.r.g.e. 62/2015, infatti, Tizio sostiene che l’ordinanza con la quale viene pignorato la somma di 1/5 dell’intera pensione, anziché la somma di 1/5 della parte eccedente la misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà, sia contrastante con la previsione normativa contenuta nell’art. 128 del r.d.l. n. 1827/1935 e degli artt. 1 e 2, primo comma, del d.p.r. 180/1950.

Premesso che, quanto all’entità e alla determinazione della somma pignorata presso l’INPS a titolo di pensione dell’odierno opponente, va evidenziato che alla procedura in questione non può ritenersi applicabile la nuova disciplina introdotta dal d.l. 83/2015 che esclude la pignorabilità delle pensioni per un ammontare corrispondente alla “misura massima mensile dell’assegno sociale aumentato della metà”, posto che, a norma dell’art. 23, comma 6 del citato decreto legge, tali disposizioni si applicano esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge, ne deriva che la normativa applicabile al caso in questione è contemplata nell’art. 128 del r.d. 1827/1935 e nell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Tali disposizioni hanno costituito oggetto della pronuncia n. 506 del 2002 con la quale la Corte Costituzionale ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui le stesse norme non consentono la pignorabilità, nei limiti del quinto, dei crediti pensionistici nella parte eccedente quanto necessario per le esigenze di vita del pensionato.

La norma, quale risulta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla pronuncia della Corte Costituzionale, di tipo additivo, vincola l’interprete: tale pronuncia fissa il principio di diritto per il quale, ai sensi del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art.128 e del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 1 e art. 2, comma 1, è assolutamente impignorabile, con le eccezioni previste dalla legge per i crediti qualificati, la parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita ed è pignorabile nei soli limiti del quinto la residua parte.

In altre parole, il pignoramento è legittimo laddove abbia ad oggetto la quinta parte del trattamento pensionistico eccedente la misura necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati a vivere.

Nella dichiarazione di terzo, nel caso in questione, l’INPS aveva dichiarato che Tizio era titolare della somma di € 820,00 a titolo di pensione, pertanto il quinto pignorabile avrebbe dovuto essere calcolato solo sull’importo della pensione (€ 820,81) al netto nella somma determinata quale “minimo vitale”, ordinando all’INPS di procedere alla trattenuta e al versamento in favore della creditrice esclusivamente della somma mensile di € 63,52 (la quinta parte di € 317,61 risultante dalla differenza fra il netto della pensione € 820,00 e il “minimo vitale”, individuabile in € 502,39 quale minimo pensionistico del 2015).

Per quanto attiene, invece, al secondo motivo di doglianza, afferente il pignoramento per intero gravante sul Tizio della somma di € 5.000,00 a titolo delle spese legali sostenute dai terzi chiamati nella causa r.g. 2946/2010 da cui è originata la sentenza n. 1437/2014 portata in esecuzione nel giudizio r.g.e. 62/2015, Tizio contesta che gli odierni convenuti/opposti possano chiedere il pagamento dell’intero a lui solo, senza che la sentenza, azionata quale titolo esecutivo, sancisse la solidarietà passiva dei soccombenti per le spese di lite.

Ebbene, a tal fine, deve osservarsi che la sentenza n. 1437/2014 del Tribunale di Reggio Emilia, posta alla base della procedura esecutiva da cui origina l’odierna opposizione, in ordine al governo delle spese di lite, così dispone: “condanna Tizio e Mevia al pagamento delle spese legali sostenute dai terzi chiamati che si liquidano complessivamente per ambedue, stante la comunanza di difese, in € 5.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario 15%, iva cpa come per legge…”.

Nel caso in questione, pertanto, si sollecita l’esame dell’ammontare esatto delle somme azionabili in fase esecutiva, sulla scorta di una corretta applicazione delle regole di cui all’art. 97 c.p.c., senza che ciò comporti un controllo intrinseco sul titolo o ponga questioni relative alla formazione del provvedimento o a ragioni di ingiustizia della decisione, la cui cognizione sarebbe preclusa al giudice dell’esecuzione (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3850; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1183; Cass. 24 luglio 2012, n. 12911; Cass. 17 febbraio 2014, n. 3619).

Orbene, nell’ipotesi di processo con pluralità di soccombenti, la regola generale, cristallizzata all’art. 97 c.p.c. è rappresentata dalla ripartizione delle spese in misura proporzionale all’interesse nella causa di ciascuno dei soccombenti. L’interesse nella causa è da intendersi come interesse, da apprezzarsi da un punto di vista prevalentemente quantitativo, al risultato giuridico che i vincitori in giudizio conseguono con l’accoglimento della domanda ed i soccombenti con il rigetto della stessa (in altre parole, i vantaggi – economici e morali – conseguenti ad un accertamento giudiziale, positivo o negativo).

In deroga alla predetta regola generale, l’ultimo periodo dell’art. 97, co. 1, c.p.c. riserva alla valutazione discrezionale del giudice la possibilità di una condanna solidale alle spese processuali.

Se però manca una ripartizione esplicita delle spese tra i soccombenti, il criterio residuale fissato dall’art. 97, co. 2, impone la ripartizione delle spese per quote eguali tra i vari soccombenti, da applicarsi pure in presenza di un’obbligazione solidale. La norma, di fatto, introduce una presunzione di parziarietà dell’obbligo riguardante le spese processuali in mancanza di decisione sul punto.

Per cui, stando all’esatto tenore letterale della sentenza n. 1437/2014 del Tribunale di Reggio Emilia, non si rinviene una pronuncia di condanna solidale alle spese di lite laddove, invece, la condanna solidale alle spese di lite presuppone un’espressa delibazione da parte del giudice, che è del tutto discrezionale (art. 97, co. 1. ultimo periodo: “…Può anche pronunciare condanna solidale di tutte o di alcune di esse”). In assenza di una pronuncia puntuale in tal senso, si applica la disposizione di cui all’art. 97, co. 2, c.p.c.

Tanto chiarito, risulta dalla azionata sentenza 1437/2014 una responsabilità in punto a spese di lite da ripartirsi in parti uguali sui soccombenti Tizio (odierno attore opponente) e Mevia.

Le domande attoree devono, pertanto, trovare accoglimento.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Trova, altresì, applicazione la disposizione di cui all’art. 96 comma 2 c.p.c.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

1) Ordina al terzo pignorato INPS di trattenere mensilmente la sola somma di € 63,52, pari al quinto di rateo pensionistico mensile di Tizio che supera il “minimo vitale”, corrispondendo a Tizio la parte dei ratei precedentemente trattenuti in esubero;

2) dichiara l’illegittimità del pignoramento fatto eseguire da Caio e Sempronio a carico di Tizio per la parte eccedente la somma di € 2.500,00 (oltre oneri pro quota come per legge) di cui al punto 6) della sentenza n. 1437/2014;

3) per l’effetto, ordina che il pignoramento promosso in danno di Tizio in ragione della sentenza n. 1437/2014 venga ridotto della somma di € 2.500,00 oltre oneri come per legge da calcolarsi sulla quota di competenza di Tizio;

4) condanna Caio e Sempronio al pagamento, in solido tra loro e in favore di Tizio , delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano nella somma di € 2.400 oltre IVA, CPA e spese generali come per legge;

5) condanna Ciao e Sempronio al risarcimento dei danni ex art. 96 cpc quantificati in € 62,75 (corrispondente all’importo degli interessi legali sulle somme trattenute in esubero dal terzo INPS, pari ad € 1.313,11).

Reggio Emilia, 19/5/2016.

Il Giudice

dott.ssa Simona Di Paolo