Inapplicabile la disciplina del d.l. 83/2015 in punto di impignorabilità della quota delle pensioni ai pignoramenti antecedenti il decreto legge. Trib. Reggio Emilia sent. 19.05.2016 n. 744 dott.ssa Di Paolo

Il Tribunale di Reggio Emilia si pronuncia su due aspetti, non particolarmente infrequenti in materia di opposizioni all’esecuzione, sancendo che:

  1. non può applicarsi la disciplina introdotta dal d.l. n. 83/2015, il quale esclude la pignorabilità delle pensioni per un ammontare corrispondente alla “misura massima mensile dell’assegno sociale aumentato della metà“, alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del predetto decreto legge, a norma dell’art. 23 comma 6 d.l. cit., trovando conseguentemente applicazione la normativa contenuta nell’art. 128 del r.d. 1827/1935 e nell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
  2. quando manchi una ripartizione esplicita delle spese liquidate in sentenza tra più soccombenti, il criterio residuale fissato dall’art. 97 comma 2 cod. proc. civ. impone la ripartizione delle spese per quote eguali tra i vari soccombenti e trova applicazione pure in presenza di un’obbligazione solidale, introducendo la norma, di fatto, una presunzione di parziarietà dell’obbligo, riguardante le spese processuali (in assenza di decisione sul punto).

Di seguito, il testo delle motivazioni.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA

in persona del Giudice unico, dott.ssa Simona Di Paolo

ha pronunciato dandone lettura all’udienza del 19/5/2016 ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado, iscritta al n° 7389/2015 RG del Tribunale di Reggio Emilia, trattenuta in decisione, a seguito di discussione orale, all’udienza del 19/05/2016, promossa da

Tizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Carlo Canti e Raffaella Sueri ed elettivamente domiciliato presso il loro studio sito in Carpi, via Ugo da Carpi n. 30, giusta procura in calce al ricorso per opposizione all’esecuzione,

OPPONENTE

nei confronti di

Caio e Sempronio,

OPPOSTI CONTUMACI

avente ad oggetto: opposizione all’esecuzione

Conclusioni per come da verbale di udienza del 19.5.2016.

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione regolarmente notificato Tizio ha instaurato il giudizio di merito ex art. 616 c.p.c. per sentir dichiarare l’illegittimità del pignoramento eccedente il quinto del rateo pensionistico corrisposto allo stesso attore, nonché per sentir dichiarare l’illegittimità del pignoramento fatto eseguire da Caio e Sempronio anche per la quota debitoria di competenza di altro condebitore. Il tutto con vittoria delle spese di lite e condanna ex art. 96 c.p.c.

Le ragioni fatte valere dall’odierno attore nel presente giudizio afferiscono a due motivi di doglianza: da un lato l’illegittimità del pignoramento mobiliare r.g.e. 62/2015 relativo ad 1/5 dell’intero rateo pensionistico mensile, anziché ad 1/5 della parte di rateo che supera il minimo pensionistico e, dall’altro lato, la considerazione per cui il titolo esecutivo da cui è originato il procedimento esecutivo – costituito dalla sentenza 1437/2014, prevedeva la condanna di Tizio e Mevia alla refusione delle spese di lite, sicchè sarebbe illegittimo procedere in executivis nei confronti del solo attore per ottenere il pagamento dell’intero a fronte della condanna non solidale di due soggetti.

I convenuti, regolarmente citati, non si sono costituiti e ne deve, pertanto, essere dichiarata la contumacia.

L’opposizione è fondata e va, pertanto accolta.

Quanto alla doglianza relativa all’entità della somma pignorata nell’ambito della procedura n.r.g.e. 62/2015, infatti, Tizio sostiene che l’ordinanza con la quale viene pignorato la somma di 1/5 dell’intera pensione, anziché la somma di 1/5 della parte eccedente la misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà, sia contrastante con la previsione normativa contenuta nell’art. 128 del r.d.l. n. 1827/1935 e degli artt. 1 e 2, primo comma, del d.p.r. 180/1950.

Premesso che, quanto all’entità e alla determinazione della somma pignorata presso l’INPS a titolo di pensione dell’odierno opponente, va evidenziato che alla procedura in questione non può ritenersi applicabile la nuova disciplina introdotta dal d.l. 83/2015 che esclude la pignorabilità delle pensioni per un ammontare corrispondente alla “misura massima mensile dell’assegno sociale aumentato della metà”, posto che, a norma dell’art. 23, comma 6 del citato decreto legge, tali disposizioni si applicano esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge, ne deriva che la normativa applicabile al caso in questione è contemplata nell’art. 128 del r.d. 1827/1935 e nell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Tali disposizioni hanno costituito oggetto della pronuncia n. 506 del 2002 con la quale la Corte Costituzionale ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte in cui le stesse norme non consentono la pignorabilità, nei limiti del quinto, dei crediti pensionistici nella parte eccedente quanto necessario per le esigenze di vita del pensionato.

La norma, quale risulta dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla pronuncia della Corte Costituzionale, di tipo additivo, vincola l’interprete: tale pronuncia fissa il principio di diritto per il quale, ai sensi del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art.128 e del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 1 e art. 2, comma 1, è assolutamente impignorabile, con le eccezioni previste dalla legge per i crediti qualificati, la parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita ed è pignorabile nei soli limiti del quinto la residua parte.

In altre parole, il pignoramento è legittimo laddove abbia ad oggetto la quinta parte del trattamento pensionistico eccedente la misura necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati a vivere.

Nella dichiarazione di terzo, nel caso in questione, l’INPS aveva dichiarato che Tizio era titolare della somma di € 820,00 a titolo di pensione, pertanto il quinto pignorabile avrebbe dovuto essere calcolato solo sull’importo della pensione (€ 820,81) al netto nella somma determinata quale “minimo vitale”, ordinando all’INPS di procedere alla trattenuta e al versamento in favore della creditrice esclusivamente della somma mensile di € 63,52 (la quinta parte di € 317,61 risultante dalla differenza fra il netto della pensione € 820,00 e il “minimo vitale”, individuabile in € 502,39 quale minimo pensionistico del 2015).

Per quanto attiene, invece, al secondo motivo di doglianza, afferente il pignoramento per intero gravante sul Tizio della somma di € 5.000,00 a titolo delle spese legali sostenute dai terzi chiamati nella causa r.g. 2946/2010 da cui è originata la sentenza n. 1437/2014 portata in esecuzione nel giudizio r.g.e. 62/2015, Tizio contesta che gli odierni convenuti/opposti possano chiedere il pagamento dell’intero a lui solo, senza che la sentenza, azionata quale titolo esecutivo, sancisse la solidarietà passiva dei soccombenti per le spese di lite.

Ebbene, a tal fine, deve osservarsi che la sentenza n. 1437/2014 del Tribunale di Reggio Emilia, posta alla base della procedura esecutiva da cui origina l’odierna opposizione, in ordine al governo delle spese di lite, così dispone: “condanna Tizio e Mevia al pagamento delle spese legali sostenute dai terzi chiamati che si liquidano complessivamente per ambedue, stante la comunanza di difese, in € 5.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario 15%, iva cpa come per legge…”.

Nel caso in questione, pertanto, si sollecita l’esame dell’ammontare esatto delle somme azionabili in fase esecutiva, sulla scorta di una corretta applicazione delle regole di cui all’art. 97 c.p.c., senza che ciò comporti un controllo intrinseco sul titolo o ponga questioni relative alla formazione del provvedimento o a ragioni di ingiustizia della decisione, la cui cognizione sarebbe preclusa al giudice dell’esecuzione (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3850; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1183; Cass. 24 luglio 2012, n. 12911; Cass. 17 febbraio 2014, n. 3619).

Orbene, nell’ipotesi di processo con pluralità di soccombenti, la regola generale, cristallizzata all’art. 97 c.p.c. è rappresentata dalla ripartizione delle spese in misura proporzionale all’interesse nella causa di ciascuno dei soccombenti. L’interesse nella causa è da intendersi come interesse, da apprezzarsi da un punto di vista prevalentemente quantitativo, al risultato giuridico che i vincitori in giudizio conseguono con l’accoglimento della domanda ed i soccombenti con il rigetto della stessa (in altre parole, i vantaggi – economici e morali – conseguenti ad un accertamento giudiziale, positivo o negativo).

In deroga alla predetta regola generale, l’ultimo periodo dell’art. 97, co. 1, c.p.c. riserva alla valutazione discrezionale del giudice la possibilità di una condanna solidale alle spese processuali.

Se però manca una ripartizione esplicita delle spese tra i soccombenti, il criterio residuale fissato dall’art. 97, co. 2, impone la ripartizione delle spese per quote eguali tra i vari soccombenti, da applicarsi pure in presenza di un’obbligazione solidale. La norma, di fatto, introduce una presunzione di parziarietà dell’obbligo riguardante le spese processuali in mancanza di decisione sul punto.

Per cui, stando all’esatto tenore letterale della sentenza n. 1437/2014 del Tribunale di Reggio Emilia, non si rinviene una pronuncia di condanna solidale alle spese di lite laddove, invece, la condanna solidale alle spese di lite presuppone un’espressa delibazione da parte del giudice, che è del tutto discrezionale (art. 97, co. 1. ultimo periodo: “…Può anche pronunciare condanna solidale di tutte o di alcune di esse”). In assenza di una pronuncia puntuale in tal senso, si applica la disposizione di cui all’art. 97, co. 2, c.p.c.

Tanto chiarito, risulta dalla azionata sentenza 1437/2014 una responsabilità in punto a spese di lite da ripartirsi in parti uguali sui soccombenti Tizio (odierno attore opponente) e Mevia.

Le domande attoree devono, pertanto, trovare accoglimento.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Trova, altresì, applicazione la disposizione di cui all’art. 96 comma 2 c.p.c.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

1) Ordina al terzo pignorato INPS di trattenere mensilmente la sola somma di € 63,52, pari al quinto di rateo pensionistico mensile di Tizio che supera il “minimo vitale”, corrispondendo a Tizio la parte dei ratei precedentemente trattenuti in esubero;

2) dichiara l’illegittimità del pignoramento fatto eseguire da Caio e Sempronio a carico di Tizio per la parte eccedente la somma di € 2.500,00 (oltre oneri pro quota come per legge) di cui al punto 6) della sentenza n. 1437/2014;

3) per l’effetto, ordina che il pignoramento promosso in danno di Tizio in ragione della sentenza n. 1437/2014 venga ridotto della somma di € 2.500,00 oltre oneri come per legge da calcolarsi sulla quota di competenza di Tizio;

4) condanna Caio e Sempronio al pagamento, in solido tra loro e in favore di Tizio , delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano nella somma di € 2.400 oltre IVA, CPA e spese generali come per legge;

5) condanna Ciao e Sempronio al risarcimento dei danni ex art. 96 cpc quantificati in € 62,75 (corrispondente all’importo degli interessi legali sulle somme trattenute in esubero dal terzo INPS, pari ad € 1.313,11).

Reggio Emilia, 19/5/2016.

Il Giudice

dott.ssa Simona Di Paolo

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