D.L. #CuraItalia. Sospese le risposte di accesso alla banca dati dell’Anagrafe Tributaria (art. 492-bis c.p.c.)

Il D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”) prevede, tra le altre cose, all’art. 67 comma 3, la sospensione sino al 31 maggio 2020 delle risposte alle istanze, ex art. 492-bis cod. proc. civ. nonché ex artt. 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. (ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare), di accesso alla banca dati dell’Anagrafe Tributaria, compreso l’Archivio dei rapporti finanziari. La norma pare lasciare aperta la possibilità che alle istanze sia attribuito il carattere di indifferibilità ed urgenza, ai sensi dell’art. 83 comma 3 lett. a) («3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non operano nei seguenti casi: [omissis] in genere, tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal capo dell’ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto no impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile; [omissis]»). Sono altresì sospese le risposte alle domanda di accesso ai documenti amministrativi (art. 22, l. n. 241/1990; il testo del D.L. n. 18/2020 contiene un’omissione, frutto di un evidente errore materiale, con riferimento all’anno della norma) e di “accesso civico a dati e documenti” (art. 5, d.lgs. n. 33/2013); per queste ultime due ipotesi, il “carattere di indifferibilità ed urgenza”, che escluderebbe le risposte dal periodo di sospensione, dovrà (forse) da valutarsi e dichiararsi all’interno del medesimo procedimento di accesso agli atti.

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DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18
Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Visto il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13;
Visto il decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9;
Visto il decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11;
Visto il decreto-legge 9 marzo 2020, n. 14;
Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica COVID-19 sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale, prevedendo misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale, della protezione civile e della sicurezza, nonché di sostegno al mondo del lavoro pubblico e privato ed a favore delle famiglie e delle imprese;
Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di adottare altresì disposizioni in materia di giustizia, di trasporti, per i settori agricolo e sportivo, dello spettacolo e della cultura, della scuola e dell’università;
Ritenuta altresì la straordinaria necessità e urgenza di prevedere la sospensione degli obblighi di versamento per tributi e contributi, di altri adempimenti e incentivi fiscali;
Considerate le deliberazioni adottate dalle Camere in data 11 marzo 2020, con le quali il Governo è stato autorizzato, nel dare attuazione a quanto indicato nella Relazione al Parlamento presentata ai sensi dell’articolo 6, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, allo scostamento e all’aggiornamento del piano di rientro verso l’obiettivo di medio termine per fronteggiare le esigenze sanitarie e socio-economiche derivanti dall’emergenza epidemiologica COVID-19;
Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 16 marzo 2020;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell’economia e delle finanze;

EMANA

il seguente decreto-legge:

[omissis]

Art. 67
(Sospensione dei termini relativi all’attivita’ degli uffici degli enti impositori)

1. Sono sospesi dall’8 marzo al 31 maggio 2020 i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori. Sono, altresì, sospesi, dall’8 marzo al 31 maggio 2020, i termini per fornire risposta alle istanze di interpello, ivi comprese quelle da rendere a seguito della presentazione della documentazione integrativa, di cui all’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, all’articolo 6 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128, e all’articolo 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147. Per il medesimo periodo, è, altresì, sospeso il termine previsto dall’articolo 3 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, per la regolarizzazione delle istanze di interpello di cui al periodo precedente. Sono inoltre sospesi i termini di cui all’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128, i termini di cui all’articolo 1-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, e di cui agli articoli 31-ter e 31-quater del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché i termini relativi alle procedure di cui all’articolo 1, commi da 37 a 43, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
2. In relazione alle istanze di interpello di cui al comma precedente, presentate nel periodo di sospensione, i termini per la risposta previsti dalle relative disposizioni, nonché il termine previsto per la loro regolarizzazione, come stabilito dall’articolo 3 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, iniziano a decorrere dal primo giorno del mese successivo al termine del periodo di sospensione. Durante il periodo di sospensione, la presentazione delle predette istanze di interpello e di consulenza giuridica è consentita esclusivamente per via telematica, attraverso l’impiego della posta elettronica certificata di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ovvero, per i soggetti non residenti che non si avvalgono di un domiciliatario nel territorio dello Stato, mediante l’invio alla casella di posta elettronica ordinaria div.contr.interpello@agenziaentrate.it.
3. Sono, altresì, sospese, dall’8 marzo al 31 maggio 2020, le attività, non aventi carattere di indifferibilità ed urgenza, consistenti nelle risposte alle istanze, formulate ai sensi degli articoli 492-bis del c.p.c, 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies delle disposizioni di attuazione, di accesso alla banca dati dell’Anagrafe Tributaria, compreso l’Archivio dei rapporti finanziari, autorizzate dai Presidenti, oppure dai giudici delegati, nonché le risposte alle istanze formulate ai sensi dell’articolo 22 della legge 7 agosto, n. 241, e dell’articolo 5 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
4. Con riferimento ai termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività degli uffici degli enti impositori si applica, anche in deroga alle disposizioni dell’articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 12 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159.

[omissis]

Requisiti per il riconoscimento del privilegio cooperativo ex art. 2751-bis n. 5 cod. civ. Corte App. Bologna, 02.10.2019 n. 2715 dott. Guernelli

Ai fini del riconoscimento del privilegio cooperativo ex art. 2751-bis n. 5 cod. civ. non è necessario considerare anche la prevalenza del lavoro dei soci su tutti gli altri fattori produttivi (bastando la prevalenza del lavoro dei soci su quello dei non soci), non trattandosi di grandezze univoche, certe e comparabili, anche a seguito delle modifiche normative intervenute.

Di seguito le motivazioni della sentenza.

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA
Sezione Terza Civile

composta dai Giudici:
dott. Roberto Aponte – Presidente
dott. Pietro Guidotti – Consigliere
dott. Michele Guernelli – Consigliere rel. est.

pronuncia la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 3100/2017 del Ruolo Generale promossa da

CONSORZIO XXXX COOP. A R.L. IN LIQ. E C.P., avv.ti N. A. e S. T., appellante

nei confronti di

YYYY SOC. COOP. IN LIQ., avv. V. M., appellata

in punto a “Appello contro la sentenza 1499/2017 in data 13.7.2017 del Tribunale di Bologna” decisa sulle seguenti Conclusioni: come da verbale dell’udienza di p.c.

Concise ragioni di fatto e di diritto della decisione

1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale accoglieva la domanda di YYYY Soc. coop. in Liquidazione di accertamento della natura privilegiata ex art. 2751 bis n. 5 c.c. (privilegio cooperativo) del credito della stessa di € 583.907,58 imponibili (oltre IVA 4% in chirografo, totale € 607.263,88) oltre interessi commerciali, nei confronti del Consorzio XXXX Coop. a r.l. in Liquidazione e Concordato Preventivo, derivante da fornitura di serramenti per infissi fra il 2007 e il 2010.
Il Tribunale riteneva pacifica la produzione dei beni venduti da parte dell’attrice, la sua natura di cooperativa di produzione e lavoro a mutualità prevalente, e dimostrata e non contestata la prevalenza del lavoro dei soci su quello dei dipendenti non soci.
Riteneva sufficiente quest’ultimo requisito secondo la giurisprudenza dominante, ampiamente citata, senza necessità di stabilire la natura interpretativa-retroattiva o meno dell’art. 82 c. 3 bis d.l. 21.6.2013 n. 68 (conv. L. 98/2013: sul riconoscimento del privilegio in caso di richiesta e superamento della revisione ex d.leg. 220/2002), che peraltro incidentalmente affermava.
2.1.1. Il Consorzio XXXX appella, e insiste per la necessità che ai fini del privilegio, riferito alle norme vigenti all’epoca delle forniture, fosse necessaria la prevalenza del lavoro dei soci su tutti gli altri fattori produttivi, quindi anche del capitale, e non solo sul lavoro dei non soci. Cita giurisprudenza di merito.
Non si poteva secondo l’appellante fare riferimento alle modifiche dell’art. 2751 bis n. 5 introdotte dal d.l. 5/2012 sulla definizione dell’impresa artigiana, non retroattiva ex Cass. SS.UU. 5685/2015; parametro esclusivo rimanendo quindi l’art. 2083 c.c. ratione temporis ed essendo incostituzionale una diversa interpretazione.
Riporta dati di bilancio della controparte.
2.12. Censura inoltre l’affermata applicabilità retroattiva dell’art. 82 c. 3 bis d.l. 21.6.2013 n. 68 (conv. L. 98/2013), non trattandosi di regola inerente solo il sistema probatorio, ma dettante un nuovo presupposto per il riconoscimento dei privilegi.
Mancava comunque la prova della correlazione fra il lavoro dei soci e il prodotto fornito.
2.2. Col secondo motivo si censura il riconoscimento degli interessi commerciali, esclusi nelle procedure concorsuali ex art. 2 c. 1 d.leg. 231/2002, e comunque non dovuti dopo la domanda di concordato ex art. 169 l.f.
3.1. YYYY resiste, richiamando l’orientamento giurisprudenziale meno restrittivo, anche anteriore al 2012 e di merito, e l’art. 2513 c.c. introdotto nel 2004, nonché l’art. 2511 c.c. modificato nel 2009; ritiene infine applicabile l’art. 82 c. 3 bis d.l. 21.6.2013 n. 68 (conv. L. 98/2013).
Nega la comparabilità del privilegio artigiano a quello cooperativo.
Nel merito ribadisce la prevalenza e la pertinenza del lavoro dei soci all’attività caratteristica di produzione di cui alle fatture relative alle forniture, mai prima contestate, e che lo erano adesso solo genericamente; di aver prodotto gli attestati della revisione dal 2007 al 2014.
3.2. Sugli interessi, afferma il proprio diritto di procedere con azioni di accertamento e condanna, da limitare ex artt. 169 e 55 l.f. solo in sede di adempimento del C.P. ex Cass. 12092/2014 e 13181/2009; osserva che sui crediti privilegiati essi erano in ogni caso dovuti anche successivamente.
4. L’appello non può essere accolto.
4.1. Sul primo motivo, è pacifica la natura di cooperativa di produzione e lavoro a mutualità prevalente di YYYY, ed è la stessa appellante a riportare i dati di bilancio dai quali risulta per il periodo di riferimento la prevalenza del lavoro dei soci su quello dei non soci (in termini di costo del lavoro).
L’interpretazione offerta in merito alla necessità di considerare anche la prevalenza del lavoro dei soci su tutti gli altri fattori produttivi è stata univocamente disattesa dalla Cassazione (e anche da questa Corte, come cita l’appellata) ben prima del 2012, come da pronunce menzionate ampiamente anche dal Tribunale, e si basa semplicemente sul fatto che non si tratterebbe di grandezze univoche, certe e comparabili; l’orientamento rimane fermo anche nelle sentenze più recenti, senza riferimenti alle modifiche normative intervenute, e ad esso si intende qui dare continuità.
Resta quindi inconferente il riferimento al privilegio artigiano, non applicabile, e all’irretroattività di cui a Cass. SS.UU. 5685/2015.
Altrettanto irrilevante è la contestazione della natura interpretativa dell’art. 82 c. 3 bis d.l. 21.6.2013 n. 68 (conv. L. 98/2013), che il primo giudice afferma obiter pur ritenendo assorbita la questione dal raggiungimento del medesimo risultato secondo l’interpretazione tradizionale e consolidata (YYYY ha comunque attestato il “nuovo” requisito).
Infine, la generica e appena accennata deduzione dell’assenza di prova della correlazione fra il lavoro dei soci e il prodotto fornito è in effetti del tutto nuova, poiché a fronte delle inerenti affermazioni dell’appellata in primo grado, poste sin dall’atto introduttivo e successivamente anche richiamando i contratti prodotti, nessuna specifica contestazione venne mossa al riguardo, tantomeno nei termini assertivi e probatori, con le inevitabili conseguenze di cui all’art. 115 c.p.c. del resto già poste in risalto dalla sentenza impugnata.
4.2. Neppure il secondo motivo è fondato.
Infatti gli interessi commerciali sono applicabili anche nell’ambito delle procedure concorsuali in ogni caso almeno sino alla loro apertura (cfr. Cass. 3300/2017 e 14637/2018); successivamente sono dovuti interessi sui crediti privilegiati ex artt. 169, 55 e 54 l.f. e C. Cost. 408/1989.
In ogni caso nota correttamente l’appellata che la detta limitazione ha portata endoconcorsuale, non essendo precluso al creditore avvalersi delle azioni di accertamento e di condanna al di fuori del concordato, ma trovando le stesse un limite nelle modalità di adempimento e comunque nelle norme concorsuali inderogabili (cfr. Cass. 6953/2008 per la quale il principio della cristallizzazione dei crediti alla data di presentazione della domanda di concordato, per effetto del richiamo all’applicazione della L. Fall., art. 55, operato dall’art. 169, «..ha chiaramente una portata interna alla procedura concorsuale come si evince dal tenore letterale della norma in questione che dispone la sospensione degli interessi agli effetti del concorso fino alla chiusura del fallimento, così escludendo che debba allo stesso modo operarsi decidendo sui rapporti creditore-debitore al di fuori della procedura e quando il creditore non è ancora concorrente..»; cfr. anche Cass. 13181/2009, 12092/2014).
5. Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo con riguardo a valori inferiori ai medi per la non significativa complessità delle questioni trattate e del giudizio, esclusa la fase istruttoria.
Raddoppio del CU.

P.Q.M.

Ogni diversa e contraria domanda, istanza ed eccezione disattesa, il Collegio:
rigetta l’appello e condanna l’appellante Consorzio XXXX Coop. a r.l. in Liquidazione e Concordato Preventivo alla rifusione delle spese di lite del grado dell’appellata YYYY Soc. coop. in Liquidazione, liquidate in € 12.000 per compensi, oltre spese generali 15%, CP ed IVA se dovuta.
Dichiara sussistenti i presupposti per il raddoppio del CU per l’appellante Consorzio XXXX Coop. a r.l. in Liquidazione e Concordato Preventivo.
Bologna, 2 luglio 2019.

IL PRESIDENTE
dott. Roberto Aponte

IL CONSIGLIERE REL. EST.
dott. Michele Guernelli

Depositata in Cancelleria il Pubblicazione del 02.10.2019.

La revocatoria ordinaria non salva dall’inesistenza l’ipoteca iscritta successivamente al trasferimento del bene. Trib. Parma 12.05.1995 n. 406 dott. Rogato

E’ inesistente l’ipoteca iscritta successivamente alla trascrizione dell’atto e antecedentemente all’esercizio dell’azione revocatoria ex art. 2901 cod. civ., risultando la stessa gravante un immobile non appartenente al debitore contro il quale l’iscrizione ha avuto luogo. Infatti, l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria non comporta il ritorno del bene nel patrimonio del debitore: l’atto di disposizione revocato conserva il suo effetto traslativo o costitutivo in capo all’acquirente, risolvendosi la relativa pronuncia in una mera declaratoria di inefficacia dell’atto stesso, che consente al creditore istante di sottoporre ad esecuzione il bene che ne costituisce l’oggetto.

Questi i principi sanciti dalla sentenza in oggetto, di cui qui è possibile scaricare il testo integrale

Profili intertemporali del c.d. “Spazzacorrotti”: non infondate le questioni di legittimità costituzionale. Cass. pen., sez. VI, 20.03.2019, n. 12541

La Corte di Cassazione, pur dichiarandola non rilevante nel caso concreto, ha affermato che non pare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lett. b), l. n. 3/2019, nella parte in cui inserisce i reati contro la P.A. tra quelli “ostativi” ai sensi dell’art. 4-bis l. n. 354/1975, senza prevedere un regime intertemporale.

Di seguito le motivazioni integrali della sentenza.

* * *

SENTENZA

sul ricorso proposto da

F.M. nato a Roma il 23/01/1951

avverso la sentenza del 13/06/2018 emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Franca Zacco, che ha concluso chiedendo che la sentenza sia annullata limitatamente alla condanna al pagamento della riparazione pecuniariaexart. 322-quatercod. pen.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha applicato nei confronti di M.F., su sua richiesta, la pena di anni due, mesi nove e giorni dieci di reclusione in relazione ai reati di cui agli artt. 110, 319 e 321 cod. pen. sub capo 1) e di cui agli artt. 319, 319-ter e 321 cod. pen. sub capo 2). Con la medesima sentenza, il G.i.p. ha disposto la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque ex art. 371-bis cod. pen. e la confisca della somma di 330.000,00 euro ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen. ed ha inoltre ordinato all’imputato di pagare alla “ASL Roma 1” la somma di 330.000,00 euro, a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 322-quater cod. pen.

2. Con atto a firma dei due difensori di fiducia, M.F. ha proposto ricorso avverso il provvedimento e ne ha chiesto l’annullamento con limitato riferimento alla disposta condanna al pagamento della riparazione pecuniaria per violazione di legge penale e processuale.

La difesa ha evidenziato al riguardo come il giudice abbia applicato una “pena illegale”, là dove l’art. 322-quater cod. pen. prevede la riparazione pecuniaria esclusivamente in caso di “sentenza” propriamente detta – resa cioè all’esito del giudizio ordinario o abbreviato – e non anche di applicazione della pena.

2.1. In data 27 febbraio 2019, la difesa del F. ha presentato motivi nuovi ex art. 611 cod. proc. pen. con i quali, sotto diversi profili, ha sollecitato questa Corte, «riconosciuta la propria competenza a conoscere della fase esecutiva del presente procedimento», a sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, lett. b), legge 9 gennaio 2019, n. 3, nella parte in cui ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione tra quelli “ostativi” alla concessione di alcuni benefici penitenziari, ai sensi dell’art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, per rilevato contrasto con gli artt. 3, 24, 25, comma secondo, 27, comma terzo, e 117 Cost., 7 CEDU, nella parte in cui non prevede un regime intertemporale.

A sostegno della deduzione, la difesa rileva, sotto un primo aspetto, come – avendo riguardo al combinato disposto degli artt. 656, comma 9, lett. a), cod. proc. pen. e 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, in relazione ai delitti di cui agli artt. 319, 319-ter e 321 cod. pen. (contestati al F.) – in quanto inseriti nel novero dei reati di cui allo stesso art. 4-bis in virtù della novella con legge 9 gennaio 2019, n. 3 -, non sia più possibile sospendere l’ordine di esecuzione ai fini della richiesta di misure alternative alla detenzione in stato di libertà. In assenza di una disposizione transitoria regolativa dei limiti temporali di applicazione della nuova disciplina, con il passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento, l’emissione dell’ordine di carcerazione sarà pertanto “obbligata”, con una modifica peggiorativa del trattamento penitenziario. Modifica peggiorativa “a sorpresa” atteso che, al momento in cui avanzava la richiesta ex artt. 444 e 445 cod. proc. pen., F. poteva ragionevolmente confidare che la sanzione sarebbe rimasta nei limiti di operatività delle misure alternative e dunque “senza assaggio di pena”. Evidenzia, pertanto, come tale modifica in itinere delle “regole del gioco”, in quanto del tutto imponderabile all’atto dell’opzione in rito, si ponga in evidente contrasto con l’art. 7 CEDU, come interpretato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo in situazioni analoghe – rilevante ai fini dell’art. 117 Cost. -, là dove viola il principio dell’affidamento quanto alla prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie (v. per tutte Grande Camera 21 dicembre 2013, Del Rio Prada c. Spagna).

Sotto diverso aspetto, il ricorrente pone in luce come la novella normativa, nel modificare le modalità di esecuzione della pena – tradizionalmente ritenute avere valenza meramente processuale -, abbia nondimeno inciso direttamente sul contenuto afflittivo della pena e quindi sulla stessa “natura della sanzione”, di fatto tramutata da “alternativa” in “detentiva”. Tenuta presente l’impostazione “sostanzialistica” ed “antiformalista” ormai affermatasi nella giurisprudenza della Corte EDU in relazione ad istituti che presentano marcati tratti di analogia con il peculiare regime esecutivo imposto per i reati di cui al citato art. 4-bis (richiamata nuovamente la decisione della Grande Camera del 21 dicembre 2013, Del Rio Prada c. Spagna), i mutamenti con effetti concretamente peggiorativi sul regime della sanzione inflitta, devono ritenersi avere natura, non processuale, ma sostanziale, con conseguente inapplicabilità retroattiva.

Infine, la difesa censura la costituzionalità dello stesso inserimento nel novero dei reati soggetti allo speciale regime di cui al citato art. 4-bis dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (in particolare, di quelli di cui agli art. 319, 319-ter e 321 cod. pen. che vengono in rilievo nella specie), in quanto in chiaro contrasto con la funzione rieducativa della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo dedotto con il ricorso principale è fondato per le ragioni di seguito esposte.

2. Giova premettere che l’art. 322-quater cod. pen., introdotto con la legge 27 maggio 2015, n. 69, prevede che “Con la sentenza di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis, è sempre ordinato il pagamento di una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno”.

Occorre precisare come tale formulazione costituisca il frutto della modifica recentemente apportata con la legge 9 gennaio 2019, n. 3, là dove – ai fini della determinazione del quantum della riparazione pecuniaria – ha sostituito il riferimento a “quanto indebitamente ricevuto” dal funzionario pubblico con l’attuale riferimento alla”somma equivalente al prezzo o al profitto del reato”.

2.1. La riparazione pecuniaria ex art. 322-quater cod. pen. ha natura esclusivamente economica e si parametra al vantaggio di natura patrimoniale derivato dalla condotta (profitto) ovvero al compenso dato o promesso per commettere il reato (prezzo) (Sez. U del 03/07/1996, n. 9149, Chabni Samir, Rv. 205707). La riparazione va corrisposta in favore dell’amministrazione cui appartiene il pubblico agente, a prescindere e, se del caso, in aggiunta rispetto al risarcimento” del danno cagionato al prestigio ed al buon funzionamento della pubblica amministrazione.

L’istituto presenta tratti di indubbio parallelismo con la “riparazione pecuniaria” prevista dall’art. 12 della legge 18 febbraio 1948, n. 47, applicabile in caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, là dove si applica “oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 cod. pen.”.

Come si legge nei lavori preparatori della legge 27 maggio 2015, n. 69, il meccanismo della riparazione del danno, fissata in un’entità corrispondente a quanto indebitamente ricevuto, che deve essere versata a vantaggio dell’amministrazione di appartenenza, rappresenta una sanzione per l’infedeltà del pubblico ufficiale e per il danno cagionato all’amministrazione di appartenenza, con spiccata funzione dissuasiva.

In linea con l’intentio legisdel legislatore e con le indicazioni della migliore dottrina, nel lasciare del tutto impregiudicato il diritto della persona offesa al risarcimento del danno, a prescindere dalla denominazione, la riparazione muove dunque nella chiara prospettiva di realizzare un rafforzamento dell’armamentario sanzionatorio posto a tutela del buon andamento della pubblica amministrazione.

Deve, pertanto, ritenersi che la riparazione pecuniaria costituisca – come quella prevista dal citato art. 12 della legge sulla stampa – una “sanzione civile accessoria” alla condanna per i reati-presupposto di cui al catalogo dello stesso art. 322-quater cod. pen. L’istituto si presenta sotto forma di una “tipica” obbligazione civilistica – là dove ha un contenuto squisitamente economico ed è destinata alla persona offesa -, ma – giusta l’applicazione in termini di obbligatorietà, da parte del giudice penale, a prescindere dal danno civilisticamente inteso e dall’azione risarcitoria della parte civile, anche in aggiunta al risarcimento del danno – assume anche un’indubbia connotazione punitiva.

Stante la natura latu sensupunitiva della riparazione pecuniaria, la relativa applicazione – in assenza dei presupposti di legge – è certamente riportabile all’alveo della “pena illegale”, dando, dunque, luogo ad vizio coltivabile dinanzi a questa Corte ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.

3. Tanto premesso quanto alla natura di “sanzione civile accessoria” della riparazione pecuniaria di cui all’art. 322-quater cod. pen. ed alla sindacabilità nella sede di legittimità dell’applicazione di essa in violazione di legge, occorre rilevare, sotto diverso aspetto, come l’art. 322-quater cod. pen. preveda espressamente che la riparazione pecuniaria sia sempre ordinata con la “sentenza di condanna”.

Orbene, ritiene il Collegio – condividendo l’assunto difensivo – che detta espressione debba ritenersi riferita al provvedimento conclusivo del giudizio ordinario o abbreviato, ma non anche alla sentenza di applicazione della pena che, nel prescindere dall’accertamento positivo della penale responsabilità dell’imputato e giusta l’espressa previsione dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., è “solo” equiparata ad una pronuncia di condanna.

Conduce a tale conclusione anche il dato sistematico, là dove plurime disposizioni del codice penale – soprattutto quelle di recente introduzione anche nello specifico campo dei reati contro la pubblica amministrazione – confermano come il legislatore consideri eterogenea la “condanna” rispetto alla “applicazione della pena” ai fini delle ulteriori conseguenze penali derivanti dal reato.

Così, in particolare, le norme in tema di confisca obbligatoria di cui agli artt. 322-ter, 466-bis e 644, ultimo comma, cod. pen., le quali prevedono espressamente l’applicazione della misura di sicurezza patrimoniale anche in caso di sentenza di patteggiamento, in specifica deroga del disposto dell’art. 445, comma 1, cod. proc. pen.

Non può, inoltre, sfuggire come l’art. 322-quater cod. pen. sia stato inserito nel codice penale – nell’ambito del Titolo II, Capo I, dedicato alla disciplina dei delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. – immediatamente di seguito all’art. 322-ter che fa espresso riferimento, oltre alla “condanna” anche alla “sentenza di applicazione della pena”.

Si veda ancora il disposto dell’art. 609-nonies comma 1, cod. pen., nel quale il legislatore ha testualmente previsto l’applicazione delle pene accessorie e degli altri effetti penali in caso di “condanna” e di “applicazione della pena su richiesta delle parti”.

Tirando le fila delle considerazioni che precedono, non è revocabile in dubbio la netta distinzione, ai fini delle varie conseguenze sanzionatorie ed effetti penali, fra “condanna” propriamente detta e “sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti”.

Delineato il discrimenfra “condanna” e “sentenza di applicazione della pena”, ritiene allora il Collegio che la riparazione pecuniaria in oggetto – in quanto prevista soltanto per il caso di “condanna” – non possa trovare applicazione non solo nel caso di patteggiamento ordinario, ma anche in caso di patteggiamento c.d. allargato.

4. Né l’applicabilità della riparazione pecuniaria in caso di patteggiamento c.d. allargato può desumersi a contrariisdalla circostanza che, soltanto in caso di patteggiamento ordinario ex art. 445, comma 1, cod. proc. pen., l’imputato sia esente dall’applicazione delle “spese del procedimento”, “pene accessorie” e “misure di sicurezza” (salvo l’art. 240 cod. pen.).

Si è già posto in rilievo come la riparazione pecuniaria di cui all’art. 322-quater presenti caratteristiche del tutto peculiari, che la pongono su di un piano di eterogeneità rispetto ai tradizionali istituti “penalistici” e che ne rendono problematico l’inquadramento nelle categorie delle “pene accessorie” o delle “misure di sicurezza”, costituendo essa piuttosto – come già rilevato – una sanzione di tipo civilistico, sui generisnel panorama del nostro codice penale. Detta connotazione ne impedisce allora l’applicazione al di fuori degli specifici casi nei quali essa sia espressamente prevista, in ossequio ai principi di legalità e di tassatività in materia penale.

Una conferma – sia pure indiretta – della inapplicabilità della riparazione pecuniaria in entrambe le ipotesi di patteggiamento si trae dall’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen. – introdotto con la stessa legge n. 69 del 2015 che ha previsto l’art.322-quater -, là dove, nei procedimenti per i reati contro la pubblica amministrazione contemplati da tale disposizione, ha subordinato expressis verbisl’ammissibilità della richiesta di applicazione della pena”alla restituzione integrale de/prezzo o de/profitto de/reato”. Con ciò, senza fare alcuna menzione – né quale condizione, né quale effetto ulteriore – alla riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico agente, fra l’altro, anch’essa commisurata “al prezzo o al profitto del reato” (in eventuale aggiunta al risarcimento del danno).

Non può allora sfuggire l’irragionevolezza di un’ermeneusi della norma che – nonostante l’assenza di una previsione espressa dell’applicabilità della riparazione pecuniaria anche in caso di sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. (nella forma ordinaria o c.d. allargata) – comportasse l’assoggettamento dell’imputato di taluno dei reati rientranti nel catalogo di cui all’art. 322-quater cod. pen., il quale intendesse appunto definire la propria posizione processuale con il patteggiamento, al doppio versamento di una somma eguale neltantundem(pari appunto al prezzo o al profitto del reato), sia pure a titolo diverso (restitutorio e riparatorio).

Ad ogni modo, stante la già rilevata non univocità della disposizione in oggetto quanto all’applicabilità della riparazione pecuniaria in caso di patteggiamento, non può non farsi ricorso al canone interpretativo generale in materia penale, alla stregua del quale non può che essere privilegiata, fra due possibili opzioni, l’interpretazione in favor rei.

Conclusivamente, deve essere affermato il principio di diritto secondo il quale, in tema di reati contro la pubblica amministrazione, il patteggiamento di una pena detentiva anche nella forma c.d. allargata preclude l’applicazione della riparazione pecuniaria di cui all’art. 322-quater cod. pen., presupponendo essa la pronuncia di una sentenza di “condanna” propriamente detta, cioè resa a seguito di rito ordinario o abbreviato.

5. Passando alla disamina della questione di incostituzionalità dell’art. 6, comma 1, lett. b), legge 9 gennaio 2019, n. 3, là dove ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione tra quelli “ostativi” ai sensi dell’art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, senza prevedere un regime intertemporale, giova preliminarmente evidenziare – sul piano dell’ammissibilità del motivo – che, la questione attiene ad una disposizione entrata in vigore in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed al deposito del ricorso originario, di tal che non avrebbe potuto essere prospettata dal F. all’atto della presentazione dell’impugnazione. Ad ogni modo, si tratta di una sollecitazione rivolta a questa stessa Corte a sollevare la questione.

Come si è già anticipato, il ricorrente sollecita l’incidente di costituzionalità sotto un duplice profilo: in relazione, da un lato, all’omessa previsione di un regime di diritto intertemporale; dall’altro lato, all’inserimento dei reati contro la pubblica amministrazione (in particolare quelli che vengono in rilievo con riferimento alla posizione del F.) fra i “reati ostativi” contemplati dall’art. 4-bis ord. penit.

6. La questione di incostituzionalità concernente l’assenza di un regime di diritto intertemporale, per quanto non manifestamente infondata, risulta nondimeno non rilevante nella specie, per le ragioni esposte nel prosieguo.

6.1. Può convenirsi con il ricorrente che l’omessa previsione di una disciplina transitoria circa l’applicabilità della disposizione (come novellata) possa suscitare fondati dubbi di incostituzionalità in relazione ai riverberi processuali sull’ordine di esecuzione, in quanto non più suscettibile di sospensione in forza della previsione dell’art. 656, comma 9, cod. proc. pen.

Va difatti considerato come, secondo il disposto della lettera a) del comma 9 dell’art. 656, la sospensione dell’ordine di esecuzione della sentenza di condanna ad una pena detentiva non superiore a quattro anni (giusta anche la declaratoria d’incostituzionalità con sentenza della C. Cost. 2 marzo 2018, n. 41) per il termine di trenta giorni al fine di consentire al condannato in stato di libertà di avanzare istanza di concessione di una delle misure alternative previste dalla legge n. 354 del 1975 – sospensione prevista dal comma 5 dello stesso articolo – non possa essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui al citato art. 4-bis.

Orbene, avuto riguardo al “diritto vivente”, quale si connota alla luce del diritto positivo e della lettura giurisprudenziale fino ad ora consolidata a seguito della decisione delle Sezioni Unite del 2006, le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, sono considerate norme penali processuali e non sostanziali e, pertanto, ritenute soggette – in assenza di una specifica disciplina transitoria – al principio tempus regit actume non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 cod. pen. e dall’art. 25 Cost. (Sez. U, n. 24561 del 30/05/2006, P.M. in proc. A., Rv. 233976; Sez. 1, n. 46649 del 11/11/2009, Nazar, Rv. 245511; Sez. 1, n. 11580 del 05/02/2013, Schirato, Rv. 255310). In applicazione di tale interpretazione, con riferimento ai reati ascritti al ricorrente, non sarebbe più possibile disporre la sospensione dell’esecuzione ai sensi del combinato disposto dell’art. 656, comma 9, cod. proc. pen. in base all’art. 4-bis ord. penit. (come novellato nel gennaio 2019).

6.2. D’altra parte, non è revocabile in dubbio che, nella più recente giurisprudenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali, i concetti di illecito penale e di pena abbiano assunto una connotazione “antiformalista” e “sostanzialista”, privilegiandosi alla qualificazione formale data dall’ordinamento (all'”etichetta” assegnata), la valutazione in ordine al tipo, alla durata, agli effetti nonché alle modalità di esecuzione della sanzione o della misura imposta.

Significativa in tale senso è la pronuncia resa nel caso Del Rio Prada contro Spagna (del 21 ottobre 2013), là dove la Grande Camera della Corte EDU, nel ravvisare una violazione dell’art. 7 della Convenzione, ha riconosciuto rilevanza anche al mutamento giurisprudenziale in tema di un istituto riportabile alla liberazione anticipata prevista dal nostro ordinamento in quanto suscettibile di comportare effetti peggiorativi, giungendo dunque ad affermare che, ai fini del rispetto del “principio dell’affidamento” del consociato circa la “prevedibilità della sanzione penale”, occorre avere riguardo non solo alla pena irrogata, ma anche alla sua esecuzione (sebbene – in quel caso – l’istituto avesse diretto riverbero sulla durata della pena da scontare).

6.3. Alla luce di tale approdo della giurisprudenza di Strasburgo, non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l’avere il legislatore cambiato in itinere le “carte in tavola” senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformità con l’art. 7 CEDU e, quindi, con l’art. 117 Cost., là dove si traduce, per il F., nel passaggio – “a sorpresa” e dunque non prevedibile – da una sanzione patteggiata “senza assaggio di pena” ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il già rilevato operare del combinato disposto degli artt. 656, comma 9 lett. a), cod. proc. pen. e 4-bis ord. penit.

D’altronde, in precedenza, il legislatore aveva adottato disposizioni transitorie finalizzate a temperare il principio di immediata applicazione delle modifiche all’art.4-bis ord. penit., quali quelle contenute nell’art. 4 d.l. n. 13 maggio 1991, n. 152, e nell’art. 4, comma 1, I. 23 dicembre 2002, n. 279 (che inseriva i reati di cui agli artt. 600, 601 e 602 cod. pen. nell’art. 4-bis cit.), limitandone l’applicabilità ai soli reati commessi successivamente all’entrata in vigore della legge.

7. Se non che, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, i delineati profili di incostituzionalità pertengono, a ben vedere, non al patto stipulato fra le parti e ratificato dal giudice, né alla pena applicata su richiesta – di per sé validi e “indifferenti” alla novella normativa del 2019 -, bensì alla mera esecuzione della sanzione, incidendo, come si è già detto, sulla sospendibilità, rectiusnon sospendibilità, dell’ordine di esecuzione.

Conferma evidente di tale assunto si trae dalla stessa premessa del ricorrente, là dove sollecita questa Corte a promuovere l’incidente di costituzionalità “riconosciuta la propria competenza a conoscere della fase esecutiva del presente procedimento”. Con ciò, trascurando di considerare come, a norma 665 cod. proc. pen., la Corte di cassazione non sia mai giudice dell’esecuzione del provvedimento oggetto di impugnazione.

In altri termini, la questione di incostituzionalità prospettata afferisce non alla sentenza di patteggiamento oggetto del presente ricorso, ma all’esecuzione della pena applicata con la stessa sentenza, dunque ad uno snodo processuale diverso nonché logicamente e temporalmente successivo, di talché ai fini della decisione di questa Corte non rileva, potendo se del caso essere riproposta in sede di incidente di esecuzione.

8. In conclusione, in accoglimento del motivo dedotto con il ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, nella parte in cui ha ordinato all’imputato, ai sensi dell’art. 322-quater cod. pen., di pagare alla ASL Roma 1 la somma di euro 330.00 a titolo di riparazione pecuniaria.

Vanno invece rigettate le questioni di costituzionalità, fatte valere con i motivi nuovi, perché non rilevanti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta riparazione pecuniaria ex art. 322-quater cod. pen., che elimina.

Così deciso il 14 marzo 2019

Il consigliere estensore Il Presidente

Alessandra Bassi Giorgio Fidelbo

Non fondate le questioni di legittimità costituzionale della c.d. Legge Merlin

Di seguito il comunicato stampa diramato dalla Consulta in relazione alle questioni di legittimità della c.d. Legge Merlini, sollevate dalla Corte di Appello di Bari.

Di seguito il comunicato stampa, reperibile nella sua versione originale qui.

Si rimette il testo dell’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale: C. App. Bari, Sez. III pen. ord., 06.0.2018.

* * *

LA PROSTITUZIONE AL TEMPO DELLE ESCORT:LA CONSULTA “SALVA” LA LEGGE MERLIN

La Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio, ha deciso le questioni sulla legge Merlin sollevate dalla Corte d’appello di Bari e discusse nell’udienza pubblica del 5febbraio 2019.

In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte fa sapere che le questioni di legittimità costituzionale riguardanti il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione, puniti dalla legge Merlin, sono state dichiarate non fondate.

Le questioni erano state sollevate con specifico riferimento all’attività di prostituzioneliberamente e consapevolmente esercitata dalle cosiddette escort. I giudici baresi sostenevano, in particolare, che la prostituzione è un’espressione della libertà sessuale tutelata dalla Costituzione e che, pertanto, punire chi svolge un’attività di intermediazione tra prostituta e cliente o di favoreggiamento della prostituzione equivarrebbe a compromettere l’esercizio tanto della libertà sessuale quanto della libertà di iniziativa economica della prostituta, colpendo condotte di terzi non lesive di alcun bene giuridico.

La Corte costituzionale ha ritenuto che non è in contrasto con la Costituzione la scelta di politica criminale operata con la legge Merlin, quella cioè di configurare la prostituzione come un’attività in sé lecita ma al tempo stesso di punire tutte le condotte di terzi che la agevolino o la sfruttino.

Inoltre, la Corte ha ritenuto che il reato di favoreggiamento della prostituzione non contrasta con il principio di determinatezza e tassatività della fattispecie penale.

Roma, 6 marzo 2019

Possibili disguidi ai servizi di comunicazione il giorno 08.11.2018 dalle h. 13.30 alle h. 16.30

e-distribuzione informa che, nella giornata di oggi 8 novembre 2018, dalle h. 13.30 alle 16.30, sarà sospesa la fornitura di energia elettrica nella zona ove è ubicato #SLFS, per consentire l’effettuazione di lavori sugli impianti di distribuzione.
Avvertiamo, pertanto, che potrebbero verificarsi disservizi ai sistemi di comunicazione dello Studio.
Ci scusiamo anticipatamente per i possibili disguidi, che non dipendono da noi.

Aumento dei diritti di copia luglio 2018. Decreto 4 luglio 2018 del Ministero della Giustizia

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 172 del 26.07.2018 il Decreto 4 luglio 2018 del Ministero della Giustizia, recante l’adeguamento degli importi del diritto di copia e di certificato ai sensi dell’articolo 274 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

Il decreto è consultabile al seguente qui (estratto della Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 172 del 26.07.2018): Adeguamento degli importi del diritto di copia e di certificato ai sensi dell’articolo 274 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

Di seguito, le tabelle con gli importi aggiornati (allegati n. 6, 7 e 8, al Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115):

Allegato n. 6 (art. 267)

Diritto di copia senza certificazione di conformità

Numero di pagine

Diritto di copia forfettizzato

1-4

€ 0,97

5-10

€ 1,94

11-20

€ 3,87

21-50

€ 7,75

51-100

€ 15,50

oltre le 100

€ 15,50 più € 6,46 ogni ulteriori 100 pagine o frazione di 100

Allegato n. 7 (art. 268)
Diritto di copia autentica

Numero di pagine

Diritto di copia forfettizzato

Diritto di certificazione di conformità

Totale delle colonne 2 e 3

1-4

€ 1,29

€ 6,46

€ 7,75

5-10

€ 2,59

€ 6,46

€ 9,05

11-20

€ 3,87

€ 6,46

€ 10,33

21-50

€ 6,46

€ 6,46

€ 12,92

51-100

€ 12,92

€ 6,46

€ 19,38

oltre le 100

€ 12,92 più € 7,75 ogni ulteriori 100 pagine o fra- zione di 100

€ 6,46

€ 19,38 più € 7,75 ogni ulteriori 100 pagine o frazione di 100

Allegato n. 8 (art. 269)
Diritto di copia su supporto diverso da quello cartaceo

Tipo di supporto

Diritto
di copia forfettizzato

Per ogni cassetta fonografica di 60 minuti o di durata inferiore

€ 3,87

Per ogni cassetta fonografica di 90 minuti

€ 5,81

Per ogni cassetta videofonografica di 120 minuti o di durata inferiore

€ 6,46

Per ogni cassetta videofonografica di 180 minuti

€ 7,75

Per ogni cassetta videofonografica di 240 minuti

€ 9,70

Per ogni dischetto informatico da 1,44 MB

€ 4,54

per ogni compact disc

€ 323,04

Niente registro per il provvedimento di liquidazione delle spese dell’esecuzione. Agenzia delle Entrate Reggio Emilia 05.03.2018

La Direzione Provinciale di Reggio Emilia, a seguito di ricorso-reclamo ex art. 17-bis d.lgs. n. 546/1992, ha accolto integralmente ed ha provveduto ad annullare la liquidazione dell’imposta di registro effettuata sul provvedimento ex art. 611 cod. proc. civ. di liquidazione delle spese del procedimento esecutivo (nella fattispecie, si trattava di esecuzione per rilascio di immobile).

In accoglimento del ricorso promosso dal contribuente, l’Ufficio ha ritenuto che:

  • nessuna norma del Testo Unico dell’imposta di registro prevede la tassazione dei provvedimenti di liquidazione delle spese legali, che devono quindi ritenersi esclusi dal novero degli atti assoggettabili all’imposta, stante il disposto dell’art. 2, parte terza della Tariffa;
  • il provvedimento di liquidazione delle spese ha natura ancillare rispetto al provvedimento principale, emesso in esito ad un procedimento giurisdizionale, anche nell’ipotesi (come quella del caso in esame) in cui la liquidazione venga chiesta con separata istanza, come espressamente richiesto dalla legge, ai sensi dell’art. 611 c.p.c.;
  • l’atto impugnato in motivazione richiama una fattispecie impositiva (combinato disposto degli artt. 8 comma 1, lett. a) e 6 della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 1986 n. 131) non coerente con il caso di specie, tale da rendere il suddetto avviso di liquidazione privo di adeguata e congrua motivazione.

Il ricorso ed il conseguente provvedimento di annullamento sono liberamente consultabili qui: Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Reggio Emilia 5 marzo 2018.

Niente privilegio ex art. 2751-bis cod. civ. ad amministratori e liquidatori. Cass. Civ., Sez. I, 07.03.2018, n. 5489, est. Terrusi

Il compenso dovuto all’amministratore della società non gode del privilegio ex art. 2751-bis n. 2 cod. civ. e così anche quello dovuto al liquidatore: il loro rapporto con la società, infatti, non è assimilabile a quello derivante dal contratto d’opera; sotto altro profilo, non è differenziabile la posizione del liquidatore da quella dell’amministratore: anche il primo svolge un’attività di gestione, sebbene liquidatoria, riferibile all’intera organizzazione dell’impresa (da ilcaso.it).

Cass. Civ., Sez. I, 07.03.2018, n. 5489, est. Terrusi.